IL MATTINO
L'editoriale
13.02.2021 - 13:59
Nel fotomontaggio, Draghi su un panorama di Monteverde
I tempi in cui le sorti dell’Italia si decidevano a Nusco, tra De Mita, Mancini, Salverino De Vito, sono lontani, ma indimenticabili; quelli dell’orgoglio meridionale rianimato da Giuseppe Conte, anche: Pd e 5 Stelle hanno fatto a gara a chi dovesse metterlo da parte per primi, assecondando la congiura di Renzi.
Francesco De Sanctis, nato a qualche chilometro di distanza da Monteverde, si starà rivoltando nella tomba; Ciriaco De Mita, pressapoco nelle sue vicinanze, starà ingoiando risate di gusto: nessuno dei due avrebbe potuto mai immaginare che un irpino purosangue, qual è Mario Draghi (originario, appunto, di Monteverde) potesse macchiarsi di un così alto tradimento dei meridionali, varando un governo di lombardi (ben nove ministri) e veneti (quattro ministri): i bresciani Vittorio Colao (Innovazione tecnologica) e Maria Stella Gelmini (Affari generali e Autonomie), la mantovana Elena Bonetti (Pari opportunità), il leghista di Cuggiono, Milano, Massimo Garavaglia (Turismo), la milanese Marta Cartabia (Giustizia), di San Giorgio su Legnano, il lodigiano Lorenzo Guerini (Difesa), il meneghino Paolo Cingolani (Transizione ecologica), la monzese Cristina Messa (Università), il leghista varesino Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico). Insomma, un governo lombardo e prettamente settentrionale, quello battezzato da Draghi. 18 dei 23 ministri vengono dal Nord, due dall'Emilia Romagna, un piemontese, uno dal Friuli-Venezia Giulia e un ligure; due i titolari di dicastero provenienti dal Centro (entrambi laziali), mentre solo cinque sono nati al Sud: i lucani Lamorgese (Interni) e Speranza (Salute), i campani Carfagna (Sud) e Di Maio (Esteri), il pugliese di Taranto Garofoli (sottosegretario alla Presidenza del Consiglio).
I tempi in cui le sorti dell’Italia si decidevano a Nusco, tra De Mita, Mancini, Salverino De Vito, sono lontani, ma indimenticabili; quelli dell’orgoglio meridionale rianimato da Giuseppe Conte, anche: Pd e 5 Stelle hanno fatto a gara a chi dovesse metterlo da parte per primi, assecondando la congiura di Renzi: ironia della sorte, l’avvocato foggiano è politicamente morto “sub fiore” (quello fiorentino), come accadde a Federico II di Svevia, perito a Castel Fiorentino (nella Torremaggiore di Capitanata), inseguito da un destino beffardo. Draghi si fa interprete della rivincita padana sul governo meridionalista di Conte, consumando la vendetta leghista di Salvini che ora, a ragion veduta, può dire: «prima il Nord, prima i settentrionali». Che ne sarà del Meridione? Che ne saranno dei CIS, i contratti territoriali di sviluppo per il Sud che Conte tenne a battesimo proprio a Foggia? Vedremo. Per il momento ci rimane l’amarezza di un Mezzogiorno che in questo Governo della migliore soppressata partitica (con Salvini insieme a Zingaretti e Grillo, Speranza con Renzi; cioè personaggi in cerca d’autore, che fino a ieri esistevano per insultarsi vicendevolmente) siede non più a capotavola, ma ai bordi della tovaglia della torta da 209miliardi di euro del Recovery apparecchiata da Giuseppe Conte e squacciata da Renzi per un capriccio che ci è costato persino l’importante ministero dell’Agricoltura, passato dalla leccese Bellanova (ripagata a pedate, nonostante le ardimentose pappagallate di Pierino) all’ingegnere triestino Patuanelli. Chi l’avrebbe mai detto che dalla favola di Draghi il Sud si sarebbe svegliato Cenerentola!
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