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Il giallo della Tavola Doria, chi “Cerca Trova”…

Il giallo della Tavola Doria, chi “Cerca Trova”…

Tavola Doria

Se ne erano perse le tracce dal 1940, anno in cui risultava essere a Napoli ed oggi grazie ad una collaborazione con il Fuji Art Museum di Tokyo, è possibile vedere la Tavola Doria esposta nella Sala della Rampa del Quirinale.

Strana la storia del pezzo. Disperso, ritrovato, documentato a casa Doria dal 1641 e poi venduto all’estero in deroga ad un vincolo che ne vietava l’alienazione. Prima toccò ad un mercante svizzero custodirla nel suo caveau, per venderlo poi ad un ricco giapponese. Ed ha i tratti di un vero e proprio giallo la storia avventurosa di questa piccola tavoletta dipinta ad olio le cui misure esigue (85x115 cm) l’apparentano più ad una icona bizantina che al magniloquente affresco che riproduce. L’affresco in questione è  la celebre “sinopia” della Battaglia di Anghiari abbozzata da Leonardo da Vinci nel Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Vecchio a Firenze. La stessa commissionata al pittore dal gonfaloniere Pier Soderini e lasciata incompiuta nel 1506, per la quale Leonardo pensò ad uno scontro furioso tra cavalli e cavalieri, mentre a pochi passi il suo vicino di “giornata”- che faceva Michelangelo di primo nome -, si cimentava con il cartone dell’avvincente Battaglia di Cascina.

Torniamo alla nostra tavola… Alla sua ricerca erano stati destinati persino i “segugi” del nucleo tutela del patrimonio artistico della Polizia di Stato che dal 1983 ne avevano improvvisamente perso le tracce, per poi seguire l’indicazione di Alessandro Vezzoli, direttore del Nuovo Museo Ideale Leonardo da Vinci, che nel 1995 insinuò il sospetto che l’opera potesse trovarsi in Giappone. Quell’intuizione diventò prima la pista su cui orientare le indagini e per giungere poi – come è stato – al ritrovamento del pezzo. Ma perché con tanti guai che abbiamo, lo Stato investiva uomini e danaro sul rinvenimento del pezzo?

La Tavola Doria sembrerebbe essere l’unica testimonianza coeva dell’affresco fiorentino. E sì, perché a darci memoria nei secoli, ci ha soccorso solo il buon Rubens che, ai primi del ‘600, data un disegno che ripropone lo scontro tra gendarmerie. Godè di più fortuna la Battaglia michelangiolesca che riuscì a tramandarsi grazie ad alcune copie a stampa di Marcantonio Raimondi (detto Bolognese), amico e collaboratore di Raffaello che incise due bulini con il tema dell’Arrampicatore e degli Arrampicatori. I fogli riproducono la fuga dei soldati fiorentini che allertati dall’arrivo delle truppe pisane, risalgono ignudi e scomposti le rive dell’Arno, in cui erano immersi per una sorta di refrigerante pausa d’armi.

Ma il progetto iniziale che vide lavorare gomito a gomito Leonardo e Michelangelo, fu abbandonato e la Sala dei Cinquecento come la vediamo ora, è molto diversa da quella voluta dal Soderini: ha il soffitto rialzato e le pareti sono state completamente rinnovate e decorate da nuovi dipinti di scuola manierista. Ed è su uno di questi monumentali riquadri che si concentra oggi l’attenzione dell’opinione pubblica e degli storici. A ben guardare infatti l’affresco della Battaglia di Scannagallo dipinto da Giorgio Vasari, presenta una scritta enigmatica. In bella vista su di una insegna compare un interessante monito destinato agli acuti osservatori della “bella pittura”: “CERCA TROVA”. Inserita intenzionalmente dal critico aretino su di una “banderuola”, ha suggerito ai moderni Sherlock Holmes di cercare appunto al di là dello strato di intonaco dedicato al duello disputato a Marciano. E così, con la complicità dell’insaziabile Giacobbo, un teamdi studiosi americani ha trovato – grazie ad una accurata operazione di “carotaggio” – al di sotto dell’arriccio voluto dal Vasari, un pigmento che ha una composizione chimica simile a quella presente in altre opere del Da Vinci.

Infine, soprassedendo a suggestioni di vario tipo, una tra tutte però ci solletica insistentemente all’indagine e ci fa avanzare una proposta. Che non sia stato proprio l’illuminato Cosimo I de’ Medici – reinsediatosi da Granduca a Firenze –, a sollecitare l’intervento di qualche pittore di corte (di taglio manierista, pensiamo noi), per lasciar memoria di cotanta impresa leonardesca prima che il Vasari vi dipingesse sopra la sua, di Battaglia?

 

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Francesca Di Gioia

Francesca Di Gioia

Francesca Di Gioia è docente di Arte Sacra e Beni Culturali del territorio presso la Facoltà Teologica Pugliese di Foggia. Si è laureata cum laude in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Istituto di Magistero "Suor Orsola Benincasa" di Napoli. Si è specializzata in incisione presso l'Istituto Nazionale per la Grafica di Roma e si occupa di Grafica d'Arte. E' giornalista pubblicista, collabora dal 2005 con il settimanale "Voce di Popolo". Ha conseguito il Diploma in Biblioteconomia presso la Scuola della Biblioteca Apostolica Vaticana ed è Operatore Didattico dei Musei Vaticani. Ha pubblicato "Invenit, delineavit et sculpsit. Per un approccio alle Arti Grafiche" per i tipi delle Edizioni Il Castello e "Vissi d'arte. Cinque anni di penna appassionata" con le Edizioni del Rosone.

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