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I pensieri dell'Altrove

L'incrocio al vento che ognuno si porta dentro

Dove non si vedono speranze, si addizionano i torti e si affaccia forte l'intuizione che bisogna imparare a fare di ogni prossima attesa qualcosa di diverso da una storia inevitabile, da una prova da sostenere.

L'incrocio al vento che ognuno si porta dentro

Opera di Gavino Ganau "Living Space" (Galleria Piziarte.net)

L'appuntamento è sempre lì. In quell'incrocio noto, dove sull'asfalto ci sono i segni delle mie scarpe, dove per aspettarti si sono fatti i fossi, dove l'incontro diventa un patto e l'attesa l'occasione di una promessa fatta a me. Ogni volta è un aspettare lungo, accettare l'invito è sempre un'imprudenza, un elemento ansiogeno che conosco e so che non mi ama. Lo pensavo anche stamattina, mentre lavavo le tazzine del caffè, che stare lì è un esperimento che può anche non riuscire, mi può scoppiare fra le mani, mi può ustionare e fare male. Ma sono curiosa, a giorni anche temeraria, e trovo sempre un modo per andare a scontrarmi con le attese, perché per quanto possano essere deludenti a me fanno ricordare i bambini nei giorni e nelle ore prima di un regalo, della vigilia di un mio ritorno a casa per Natale, di una sbirciata nella immaginazione. C'è vento all'angolo e poco rumore, ho visto passare una signora che aveva un piccolo insetto rosso fra i capelli unti, volevo dirglielo ma non l'ho fatto. Ognuno si tenga gli insetti che ospita. Comincio a pensare che l'attenzione verso gli altri debba essere meno liquida, serve più rigore, bisogna sapersi dare e poi avere l'abilità di sapersi sottrarre. Nella sazietà non ti cerca nessuno, è nella difficoltà che si avverte il bisogno di avere un cerchio umano intorno agli occhi. Si è alzato il vento, ora è più freddo, gli angoli sono nocivi per gli appuntamenti, questo è pure esposto a nord ed è quasi sera. So che fra undici minuti comincerò a tossire e non serviranno a niente le  mie pastigliette balsamiche, neanche se prendo quelle farinose, che dicono siano più efficaci, ma per me sono così disgustose che le sputo dopo quattro giri in bocca perché oltre non si può. Il tempo sta scadendo. L'appuntamento era sempre qui, in questo incrocio noto, dove sull'asfalto ci sono i segni delle mie scarpe, dove per aspettarti si sono fatti i fossi. Dove ogni volta mi si spacca a terra l'illusione, come un bicchiere da quattro soldi, come quelli comprati al mercato infrasettimanale, quelli già un po' scheggiati o lesionati, quasi sempre molto opachi, alcuni molto spessi. E ogni volta è irresistibile la rabbia, perché un'attesa ridiventa assenza, in questo ciclo infame di trame che si sfaldano, in questo periodare certo solo nella ripetuta delusione. Cronaca scadente, infiammazioni note, fratture ripetute. Alla fine sembra essere tutto qui, in un incrocio al vento, marcato da alcuni passi fermi e un racconto dimesso e inconcludente. Dove non si vedono speranze, si addizionano i torti e si affaccia forte l'intuizione che bisogna imparare a fare di ogni prossima attesa qualcosa di diverso da una storia inevitabile, da una prova da sostenere. Da una cosa che si presenta come una irrinunciabile necessità. Basta, me ne torno a casa, ho in testa solchi storti e pensieri pieni di tarli irriverenti. Li lascio lì, conosco i loro giri e la loro malattia. Conosco le voci e la loro litania. Poi se ne andranno via, per un po', spinti dal vento freddo. Proprio come quell'insetto rosso fra i capelli unti di quella signora all'angolo. Sì, è così, ad ognuno toccano gli insetti propri.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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