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I pensieri dell'Altrove

Lasciamo che le parole siano delle creature felici

Lasciamo che le parole siano delle creature felici

Ho cominciato a scrivere questi post due anni e mezzo fa. Pensavo ad una situazione temporanea, breve, per non stancare e per non stancarmi, pensavo ad un momento di ricreazione per i miei pensieri, a dare vestiti nuovi alla parole, a regalare alla mia attenzione per la scrittura un piccolo attestato di visibilità. Poi mi ha preso la mano e l'ingordigia, la curiosità di sperimentarmi e la ritualità ordinata che si concede ai rapporti amorosi per rassicurarli. Mi piace scrivere, e a parte la consueta esuberanza poetica dell'adolescenza, ho continuato anche in seguito ad amare le parole scritte. (Ma anche quelle dette, per la verità). Mi piace scrivere perché dal mio piccolo mondo mi spingo verso confini allargati, frequento luoghi selvatici e dolcissimi, intimi e capovolti, sconfinati e rugosi, con un continuo potenziale riproduttivo di immagini e sensazioni. L'inaccessibile, attraverso l'introspezione e la frequentazione delle stanze private delle emozioni, forse, in un pulviscolo timido, si può cercare di intravederlo. Con cura, con cautela, ci si può avvicinare e tentare di raccontarlo. Ognuno a modo proprio, ognuno con le sue parole. Io so che le mie parole, almeno loro, sono creature felici: le lascio libere, le lascio giocare. Loro si spogliano, si mostrano, si spostano, si mutano, si fanno a volte sangue e a volte si nebulizzano, come nebbie marine mattutine in cerca di luce. Si perdono, ritornano, si nascondono dietro ad uno spigolo di nostalgia, si infilano e si attaccano ad un'asola aperta che ha sbottonato pensieri, corteggiano le insinuazioni dell'anima, strizzano l'occhio all'ironia, si concedono ai sentimenti. Ma sono tutte vere, non sono un'operazione commerciale, non sanno usare il 'copia e incolla' e sono prepotenti, perché anche quando le vorrei tenere a bada, è il momento che sgusciano via come aria incontrollabile. Conoscono il bene, ma anche il dolore e i dispiaceri. Le ustioni, le ferite e l'odore delle bende per disinfettarle. Le perdite e gli abbandoni. Il sonno che non arriva mai e le attese che tornano sempre. Per questo, io penso che le mie parole provino a parlare, ma credo anche che sappiano ascoltare. Ed è bello sentire il ritorno del loro andare, ricevere il dono delle risposte che arrivano dinanzi all'offerta delle mie suggestioni, toccare il filo sempre più spesso delle condivisioni e la densità delle vicinanze che si fanno presenza. Non l'ho fatto mai, in questi due anni e mezzo, ma oggi mi va di ringraziare Tonino (alias direttore del 'Mattino'), amico sempre indaffarato e 'condividente' di fatti importanti della mia vita che mi ha offerto questa possibilità, però la mia gratitudine più grande va a chi mi legge ogni domenica e anche qualche giorno più in là. Siamo tanti, ma proprio tanti, un campionario umano trasversale e sconosciuto che si riconosce e si cerca solo attraverso il potere silenzioso e coagulante della parola. La parola che diventa compagnia, appuntamento, conoscenza, curiosità, e per me ricerca e viaggio nella difficoltà della vita che non si vede. È chiaro, chi scrive lo fa per essere letto, e ancor di più desidera che la propria scrittura possa avere consensi, sono questi gli elementi che fanno bene anche se fanno aumentare ansia e aspettative. Ma sono produttivi e stimolanti, e se tutti noi siamo arrivati ad essere un incontro di seimilacinquecento, io dico che almeno stavolta tutto questo un senso, si, ce l'ha. Grazie.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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