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I pensieri dell'Altrove

Papa Francesco e l'insegnamento di guardare la morte negli occhi

Papa Francesco e l'insegnamento di guardare la morte negli occhi

Mi ha colpito, molto, quello che ha detto Papa Francesco due giorni fa. In sostanza si è fatto portavoce di una sua intima e delicata sensazione che ha voluto condividere col mondo, dicendo in modo semplice e diretto che sente che il suo pontificato non avrà vita lunga poiché pensa che gli restino ancora, o solo, due o tre anni. Ora, parlare di morte è affrontare uno di quegli argomenti sempre in bilico fra l'imbarazzo e la paura, il tocco magico ai genitali maschili e la convinzione che meno se ne parli più si può tenere lontana. Liberare la parola è un approccio per coraggiosi, per masochisti o per chi sa fermarsi a guardare, senza troppe ansie, una grande stanza oscura e vuota di speranze ignote. O anche per chi sa camminare nel silenzio, per incontrarsi con l'idea di non pensare all'eterno come ad un approdo spaventoso, ma ad un incontro con il Tempo, invisibilmente fluido e continuamente sconosciuto, abbastanza ampio da assorbire la vita e misteriosamente inaccessibile per accogliere la morte. Potremmo produrci in conversazioni attorcigliate o filosoficamente audaci, ma la verità è più spietata e biologicamente incontestabile: noi moriamo, nonostante il potere insistentemente corteggiato e talvolta sedotto, nonostante la bellezza comprata, nonostante le bugie dette per salvarci o le verità di cui ci siamo serviti per rinforzarci, a prescindere dal successo ottenuto o dall'amore ricevuto, dalle lusinghe che ci hanno illuminato il compiacimento e dalle azioni ancora senza risposte ricevute. Noi moriamo, ancora con le sole certezze che l'ultimo organo che di noi stabilirà la cessione al Tempo è il cuore (chissà perché), che saremo forse ricordati per qualcosa cha avremo lasciato, per una frase importante che avremo pronunciato, per qualche effetto postumo e collaterale di nostri comportamenti, per il senso di mancanza che si renderà dolente proporzionalmente al senso di presenza che saremo riusciti ad impiantare. É così, noi ci lasceremo. Ma io penso che parlarne è ridurre un tabù ancora potente ad una procedura utile di conoscenza più profonda della nostra vita. Dei nostri giorni ordinari ma pieni di occhi intorno che ci cercano, di mani da stringere e da conoscere, di movimenti d'amore, di scelte spregiudicate da approvare per farsi del bene, di energie bloccate a cui togliere le catene. Papa Francesco, che ha verosimilmente contatti e informazioni privilegiate sa dirci serenamente quali sono i suoi tempi. Noi, in senso generale, no. Ma per me, la morte che in fondo vorrei per me, è quella che possa arrivare non tanto quando sarò vecchia, rincoglionita e assistita, ma da 'adulta'. Con un consapevole percorso compiuto ed una testa lucida e ferma. Poi, non per mettermi alla pari della morte, né per il capriccio di volerla indispettire, ma a me non spaventa affatto il quando. Semmai, l'unica mia seria preoccupazione, è sempre stato pensare a come attraversare il 'come'. Ma, intanto… una buona vita a tutti.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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