IL MATTINO
Controverso
10.03.2015 - 10:22
Tano Grasso
Sciascia aveva visto lungo quando, nel 1987 sulle pagine del Corriere, scrisse dei "professionisti dell'antimafia. Sbaglio', però, bersaglio ma riuscì comunque a vedere, profeticamente, quel che sta accadendo oggi. A distanza di circa 30 anni, don Luigi Ciotti, ha ripreso, in un certo senso, il concetto: "l'antimafia e' ormai una carta d’identità, non un fatto di coscienza. Se la eliminassimo, forse sbugiarderemmo quelli che ci hanno costruito sopra una falsa reputazione. L’etichetta di antimafia oggi non aggiunge niente. Anzi”. Che vuol dire quell'anzi? Forse che in parallelo alla crescente coscienza antimafia, c'era o c'è chi nascondendosi sotto il fin troppo comodo ombrello della lotta all'illegalità, della dichiarazione sempre più agguerrita contro i clan, questo o quello, quasi da imbonitore, usava o usa l'abito candido del "io sono pulito", elencando le tante "buone" azioni, il sacrificio personale nella ferocia della contrapposizione, per fare strada, carriera, con incarichi - anche pubblici - in poche parole, per limitarci, una falsa reputazione, come appunto evidenzia don Ciotti?
E se la Commissione Antimafia oggi decide di indagare il fenomeno del "movimento dell'antimafia" cosa vorrà dire? Che ormai è fin troppo evidente che chi troppo alza il tiro contro il malaffare, ma magari si parlasse con lo stesso impeto di corruzione e concussione e non solo di estorsione con qualche deviazione sull'usura, forse lo fa a copertura di altri e particolari interessi? Generalizzare, soprattutto su certi argomenti, non è mai un giusto esercizio, il reato e' di chi lo commette, che ne risponde se c'è chi ha il coraggio di denunciare o se le forze dell'ordine e la magistratura riescono, nonostante tutto, a raccogliere prove inconfutabili, schiaccianti. Ma quanti sono i reati commessi e non emersi, scoperti, quante sono le persone, meglio i delinquenti camuffati, che la fanno franca, che vivono borderline e, incuranti anche dell'urlo della propria coscienza, ritroviamo a disquisire di tutto ciò che è classificabile come "anti", utilizzando anche l'arroganza del "verbo", invece di sostenere un basso profilo almeno di circostanza, di facciata? Forse sono gli stessi che oggi don Ciotti cita, ovviamente senza far nomi, come le sorprese di prossime operazioni antimafia. Cioè esponenti di spicco del movimento dell'antimafia che probabilmente si sono limitati a parlar come si deve, ma poi ad operare come proprio non si deve.
Intanto le riflessioni sul caso Helg rimbalzano con forza anche nei territori a noi più vicini. Eppure proprio a Foggia, proprio in questi ultimi mesi, e' un vero e proprio profluvio di posizioni "anti". Un buon segnale, un pessimo segnale? Certo è che diffondere dichiarazioni (ah, quell'esercizio sterile di chi solo dichiara, di chi è onnipresente) sta diventando forse addirittura ingombrante o, almeno, una nenia soporifera. Ma la credibilità di chi enuncia, è solida, quanto è solida? Eppure si spara, si alza il tiro delle intimidazioni. Ad un moto positivo delle istituzioni, delle associazioni di categoria, senza entrare nello specifico delle relative posizioni, e senza nemmeno lontanamente pensare che sia un atteggiamento strumentale o, come sostenuto da Tano Grasso a Sky Tg 24 pomeriggio di venerdì scorso, una passerella mediatica, occorre anzi urge che la tanto vituperata società civile alzi una volta per tutte quel muro su cui nessuno potrà più incidere alcun varco. "Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che, quando c'è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed e' allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare", affermava Giovanni Falcone
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