E così, nella notte di natale, alle 23.50, moriva mio suocero. Le campane le sentivamo forte, nel buio della festa, mentre in fretta, come in questi casi normalmente si fa, i congiunti stretti vestivano il morto. Fra i botti colorati per il natale appena celebrato e i messaggini di auguri, il dolore del distacco e dell'addio, gli occhi arresi alla tensione, le mani al saluto. Si dice sempre che si è pronti 'sempre', ma quando arriva, almeno per i più vicini, in realtà non si è mai così semplicemente pronti. Le ore sono passate lente, il sonno sembrava un atteggiamento inopportuno; si è aspettato, nella notte di natale, che arrivasse il giorno di natale. Nel pomeriggio del 25, fra telefonate ancora di auguri di chi non sapeva, i funerali. La fila é lunga, stretti gli uni agli altri, il freddo che punge la faccia, ognuno chiuso nel suo petto e nei suoi pensieri, ognuno solo nel suo cappotto, seppure in mezzo a tante mani, braccia, sguardi, uomini,amici. In chiesa, la bara sistemata sotto alla capanna, il presepe quest'anno mi pare più grande, più scenografico, più pieno di lucine intermittenti. I riflessi allegri sbattono e stridono sul lucido, mortifero legno noce con annesse maniglie di ottone pieno, quelle da ultima cerimonia. Il prete, don Saverio, dice cose belle, ispirato dalla culla e dalla bara, la contestualità della vita e della morte mai così impressionantemente rappresentate come in questa sera. La culla che spinge alle prime carezze, alla speranza, ai progetti, ai desideri, la bara che ferma i tempi, congela i corpi, arresta la perfezione del respiro e dei pensieri. L'alfa e l'omega, il dovere e il mestiere della vita e la perentorietà indiscutibile e lacerante della morte. Poi, un'ora di strette di mani e di baci che sanno di sincerità e partecipazione, ma anche di acido da reflusso gastroesofageo post prandiale natalizio. Fra il presepe, la capanna, il bambinello e le lucine e le stelle di natale, il rischio altissimo è di sentirsi dire auguri anziché condoglianze, e difatti succede. Alla fine si va, sotto le luminarie viola del corso, curiosamente in tono, e un vento da nord che la sera impone il cortisone e l'antipiretico. Surreale la macchina dell'ultimo viaggio che porta il feretro, scivola elegante e silenziosa nel buio della sera di natale, con i panettoni nei bar e gli alberi da poco decorati con i colori della festa, i fritti dolci nella pancia e lo spumante nei frigoriferi delle case, le carte luccicose dei regali e i giocattoli portati da Gesù bambino e babbo natale. E' tutto qui, la festa ed il dispiacere, la sazietà ed i vuoti, le passioni, le angosce, le cose non capite, gli amori avidi e quelli avari. Tutto qui dietro, spalmato al freddo e alle domande importanti quanto inutili. La vita prosegue, continua il presente, e domani sarà futuro, anche se voglio pensare solo a quello prossimo e non a quello remoto (grammatica dei verbi). Domani faremo altri passi, altri incontri, avremo altri colpi al cuore, altri desideri, altre nostalgie. E il deposito delle nostre emozioni, dei nostri vissuti e delle facce che non incontreremo mai più diventa sempre più denso e pieno di ricordi. Cioè di storia comune, la nostra.
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Mariantonietta Ippolito
Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.