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Trecentoventisei

Trecentoventisei

Quando aprì la porta del ristorante, Anja si rese subito conto che qualcosa non andava. Dal tavolo dov’era seduta, la padrona le lanciò un’occhiata che esprimeva chiaramente la situazione. Marie Claire se n’era andata, il suo nuovo fidanzato era venuto a prenderla e, per l’ennesima volta, non le aveva lasciato le chiavi della stanza. Nello sguardo della padrona c’era tutto, come al solito: la sorpresa di trovarsela di fronte, poi l’imbarazzo nel doverle dire quello che lei aveva già capito e, infine, la rabbia per la situazione sgradevole e la compassione per lei, povera ragazza venuta apposta dalla Polonia per trovarsi, almeno una volta la settimana, a passare la notte fuori dalla porta di casa. Questa volta però c’era qualcosa di più; non aveva mai captato niente del genere negli occhi della padrona, era qualcosa di nuovo e rinunciò a capirlo, come rinunciava a capire le parole italiane che sentiva per la prima volta, fino a quando qualcuno non gliele spiegava. La padrona le tolse subito la curiosità.

– Aspetta fino alla chiusura. Se quella disgraziata non torna vieni a dormire a casa mia.–

Solidarietà. Comprensione. Ecco la novità! Non l’aveva mai vista negli occhi di qualcuno da quando, entrata la Polonia nell'Unione Europea, era venuta in Italia in cerca di una prospettiva. Niente di strano che non capisse cosa la padrona stava per dirle. Il dolore alle caviglie la tormentava, come sempre verso la fine della giornata, dopo ore e ore a servire e a pulire nel ristorante vicino. Doppi turni, doppie mansioni, metà paga. L’angoscia l’abbandonò, sopraffatta dalla stanchezza. Anja si appoggiò su una sedia, seduta composta come le avevano insegnato da piccola, con le mani sulle ginocchia, i grandi occhi aperti nel vuoto, pieni di ricordi e di giorni più felici di questo, quando aveva vicino la sorella e una spalla su cui piangere rendeva più sopportabile la miseria che si era scaraventata addosso alla sua famiglia. Anja non era mai stata capace di darsi da fare, di trovare una sistemazione come tante nelle sue condizioni.

– Noi siamo fortunate, – le ripeteva Marie Claire – non siamo come quelle disperate che finiscono sul marciapiede. Abbiamo la fortuna di aver trovato un lavoro, così possiamo andare in discoteca, e lì un marito prima o poi lo rimedi. Tutto sta nel farsi notare. Certo che io ho più possibilità visto che ci vado, voglio vedere quando ti deciderai tu.–

Da questi discorsi Anja aveva capito subito che Marie Claire era stata proprio una di quelle disperate da cui prendeva le distanze; che sul marciapiede c’era stata e che faceva e avrebbe fatto di tutto per non tornarci. Lei invece non aveva mai vissuto queste esperienze. La sua famiglia un tempo era benestante e lei era stata in grado di ricevere un’educazione, cosa che in un paese straniero e ostile spesso è una salvezza. No, lei non era come "quelle disperate", ma non era nemmeno come Marie Claire.

– Povera Marie Claire! – pensava – Ti porti via le chiavi di casa e mi lasci la notte fuori per stare con il fidanzato di turno che non ti sposerà mai. Si, certo, non è il marciapiede, ma qual è la differenza? Che non ti fai pagare? Che spendi i soldi per la discoteca? Non credo che ne valga la pena.–

Il ristorante era vuoto. Solo, ad un tavolo, gli ultimi clienti, amici della padrona, si intrattenevano nel locale in un piacevole fine serata, sazi, cinici e boriosi. Anja sentiva sulla propria pelle tutte le occhiate che provenivano da quel tavolo. Quelle che la spogliavano con gli occhi, quelle che indagavano, diffidenti, quelle che la odiavano, così, senza un motivo preciso. Sentiva anche la parole che volavano nella stanza. Quelle dette e soprattutto quelle non dette, amplificate e rese taglienti dall’ipocrisia. Slava, straniera, di sicuro una prostituta, sporca, aids, ladra, attento al cappotto. L’angoscia tornò all’improvviso, a cavallo di una frase che non avrebbe mai voluto sentire.

– Mi toccherà bruciare le lenzuola! – a dirla era stata la padrona.

Fu così che prese la sua decisione.

 –Sei sicura? Guarda che non torna presto, passerai la notte per strada–

Grazzìe signiora, preferisco aspettare che lei torna, grazzìe di sua bontà, si, di sua bontà.

– Mah! Contenta te. Ci vediamo domani –

Ecco, si, ci vediamo domani, e poi domani, e poi domani ancora. E’ già abbastanza così, figuriamoci una notte intera. Per poi bruciare le lenzuola. Meglio con Marie Claire che con lei, meglio sola in strada che con certa gente. Qui poi non si sta male, a parte il freddo.

Ci vogliono trecentoventisei passi per fare il giro dell’isolato. Chissà quanti giri farò stanotte: uno, due, tre, quattro …

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Commenti all'articolo

  • Airelav

    17 Gennaio 2013 - 17:05

    Ciao Marco! Questo post non sarà mica la quarta di copertina di un tuo 'segreto' romanzo d'esordio?? :)

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Marco Scillitani

Marco Scillitani

È nato nel 1967, il 23 novembre, giorno che gli ha consentito di festeggiare un compleanno indimenticabile con il terremoto del 1980. Fa l'avvocato non per vivere, ma perché lo trova interessante e, non avendo mai saputo usare le mani gli è parso il metodo più efficace per raddrizzare le cose storte. Insegna Magia e Formule all'Università, ma di nascosto. Chi lo ascolta crede che parli di Procedura penale. Solo il titolare della cattedra se ne è accorto ma fa finta di niente. Da piccolo ha cominciato a osservare quello che gli accadeva intorno, collezionando storie e territori immaginari. Quando qualcuno glielo chiede, le restituisce. Ma non si assume responsabilità.

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