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Epopea al femminile

Poetesse e brigantesse, la Storia fatta dalle donne

La prima, Aurora Sanseverino, nata il 28 aprile 1669 a Grumento Nova, in provincia di Potenza, «bella, pietosa, caritatevole, cultrice della musica e della poesia». La seconda, Filomena Pennacchio, nata il 6 novembre 1845 a Casalvecchio di Puglia, sposa infelice di un cancelliere del Tribunale di Foggia che uccise trafiggendolo alla gola con un lungo spillo d'argento.

Dopo l'omicidio, Filomena Pennacchio fugge nel bosco di Lucera dove incontra il brigante Giuseppe Caruso dandosi alla macchia. Storie apparantemente lontane l'una dall'altra ma che raccontano una straordinaria epopea al femminile, rappresentata da "La Storia bandita" al "Parco della Grancia". Eccole.

L'INCREDIBILE STORIA DI FILOMENA PENNACCHIO

(Da Wikipedia)

Figlia di Giuseppe, un macellaio, e di Vincenza Bucci, sin da piccola dovette lavorare come sguattera presso alcuni notabili del suo paese, per poter incrementare i miseri guadagni della sua famiglia. Si sposò in giovane età con un impiegato di cancelleria del tribunale di Foggia ma l'unione non fu delle più felici. Il marito è descritto come una persona gelosa che non esitava a maltrattarla. Un giorno, stanca dei continui supplizi, Filomena uccise suo marito conficcandogli in gola un lungo spillo d'argento. Per evitare la galera, fuggì nel bosco di Lucera, dove incontrò Giuseppe Caruso, divenendone l'amante. Ebbe poi una fugace relazione con Carmine Crocco, capo di tutte le bande del Vulture-Melfese (si dice che i rapporti tra Caruso e Crocco si incrinarono proprio a causa della brigantessa) ed infine con il suo subalterno Giuseppe Schiavone, con cui ebbe un legame più duraturo. La Pennacchio si distinse subito per le sue capacità - era una donna dal temperamento deciso e privo di scrupoli - e partecipando a numerose scorribande ed imboscate, quasi sempre accanto al suo compagno Schiavone. Era molto ammirata e rispettata dai suoi commilitoni, per il suo fascino e la sua freddezza. All'età di circa 21 anni mise a segno il suo primo colpo, in un podere di Migliano, vicino al comune di Trevico, contro una donna chiamata Lucia Cataldo, la quale non aveva consegnato a Schiavone denaro e oggetti d'oro che il brigante le aveva ordinato di cedere. Come atto intimidatorio, la Pennacchio, davanti ai suoi occhi, sgozzò il bue di proprietà della donna e se ne andò. Il 4 luglio 1863, in località Sferracavallo, sulla consolare che da Napoli conduce a Campobasso, si rese partecipe dell'uccisione di 10 soldati italiani della 1ª Compagnia del 45mo fanteria; assieme a lei vi erano Schiavone, Michele Caruso, Teodoro Ricciardelli ed altri 60 uomini circa. La relazione tra la Pennacchio e Schiavone non venne accettata da Rosa Giuliani, che Schiavone aveva tradito per lei. Presa dalla gelosia, la Giuliani rivelò al delegato di Candela il nascondiglio ove si trovava Schiavone ed alcuni suoi uomini, che furono catturati dalle truppe sabaude e portati a Melfi. Filomena, in quel momento incinta, non era presente alla cattura del suo uomo: anche lei si trovava a Melfi, ma nascosta in casa della levatrice Angela Battista Prato. Prima di essere giustiziato, Schiavone chiese di poter vedere Filomena per l'ultima volta. La Pennacchio decise di incontrarlo, lui si inginocchiò e la baciò calorosamente per l'ultima volta, chiedendole perdono. Schiavone sarà fucilato dai militari italiani la mattina del 28 novembre 1864. Ormai rimasta sola, gravida e distrutta per la perdita del suo compagno, la brigantessa si arrese e collaborò con le autorità, contribuendo all'arresto di Agostino Sacchitiello e la sua banda, le brigantesse (nonché sue amiche) Giuseppina Vitale e Maria Giovanna Tito (quest'ultima era allora la compagna di Crocco). Condotta davanti al tribunale di guerra di Avellino, Filomena fu condannata a 20 anni di lavori forzati, che vennero poi ridotti a 9 ed infine a 7. Filomena dopo aver scontato la sua condanna, uscì di prigione e sposò un facoltoso uomo di Torino, tale Valperga Antonio. Quivi, dopo aver condotto una vita rispettosa e di solidarietà si spense il 17 febbraio 1915, dopo aver ricevuto la benedizione papale ("Filomena Pennacchio, La Brigantessa Ritrovata" - Edizioni Il Papavero - Autore Andrea Massaro, che ha ritrovato e pubblicato gli atti di matrimonio e di morte).

LA NOBILDONNA AURORA SANSEVERINO

(Da Wikipedia)

Appartenente all'illustre casato dei Sanseverino, nacque a Saponara (l'odierna Grumento Nova, in provincia di Potenza), da Carlo Maria Sanseverino, principe di Bisignano e conte di Saponara, e Maria Fardella, contessa di Paceco. Nata nel giorno in cui i Romani erano soliti iniziare i Giochi dedicati alla dea Fortuna e celebrare le Feste Floreali, il suo nome è probabilmente ispirato ad un dipinto del tempo realizzato dall'abate Giovanni Ferro, intitolato L'Aurora, in cui era raffigurata una bellissima fanciulla che spargeva fiori sul mondo. Fin da bambina si dedicò agli studi di svariate discipline come latino, filosofia, pittura e musica ma la sua vera passione fu la poesia. Su pressione del padre, un primo matrimonio, molto precoce, avvenne il 25 dicembre 1680, all'età di 11 anni, con il conte Girolamo Acquaviva di Conversano, ma durò solo qualche anno poiché rimase subito vedova e senza figli. Ritornò a Saponara per un breve periodo e compì diversi viaggi con il padre, a Palermo e Napoli. Un secondo matrimonio avvenne il 28 aprile 1686 con Nicola Gaetani dell'Aquila d'Aragona, conte di Alife, duca di Laurenzana e principe di Piedimonte, a cui diede due figli, Cecilia e Pasquale. L'evento fu celebrato con una cerimonia fastosa a Saponara, in cui venne anche organizzato dal padre un dramma pastorale intitolato Eliodoro. Dopo il matrimonio, si trasferì nella dimora del marito a Napoli, città all'epoca caratterizzata da un'intensa vita culturale. Nella sua casa napoletana ospitò vari poeti, musicisti e pittori, dando così vita ad un noto salotto letterario. Oltre alla letteratura, fu un'abile cacciatrice, partecipando a battute di cinghiale sui monti del Matese.

Per suo volere, venne fatto erigere a Piedimonte, vicino al Palazzo Ducale della famiglia Gaetani, un piccolo teatro in cui precedentemente vi era il seggio comunale. Oltre al teatro presso il Palazzo Ducale, la nobildonna si dedicò anche ad attività benefiche: fece realizzare il "Conservatorio delle orfane" di Piedimonte (1711), che ospitò numerose fanciulle, fu dotato con 500 pecore e l'amministrazione fu affidata alla confraternita di Santa Maria Occorrevole; il "Convento delle Grazie", in cui affidò ai religiosi l'istruzione pubblica per i fanciulli della zona e la "Chiesa dell'Immacolata Concezione dei Chierici Regolari Minori".

Il suo ultimo periodo di vita fu contrassegnato da alcuni tristi avvenimenti come la morte dei figli Pasquale e Cecilia. Cecilia, morta nel 1710, aveva da poco dato i natali a Raimondo di Sangro, futuro inventore e alchimista di idee illuministe. La Sanseverino si spense nel 1726, all'età di 57 anni. Fu sepolta nella Chiesa dell'Immacolata Concezione, da lei fatta edificare.

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