IL MATTINO
L'analisi
07.03.2021 - 09:59
Opera di Antonella Cinelli (Galleria Piziarte.net)
Non è possibile annullare le regole della grammatica usate sin d'ora, ma rivederle da ora in poi dipende anche da noi se abbiamo il coraggio di portare modifiche nel linguaggio quotidiano; ci riusciremo se saremo in grado di non lasciarci fagocitare dal maschilismo e nemmeno da una esagerata frenesia di buttare via secoli di linguaggio.
Sanremo 2021. Dal palco dell'Ariston Beatrice Venezi ha chiesto di voler essere definita direttore d'orchestra e non direttrice: le polemiche sono arrivate come è prevedibile. Maschilista, purista della lingua o che altro? È una vittima della cultura dominante che grazie agli stereotipi si fa strada con grande successo nelle menti degli esseri umani. La prima considerazione che si trae dalla sua affermazione è: “Logico, i direttori d'orchestra tranne rare eccezioni sono tutti uomini e definirsi direttore è più prestigioso dal punto di vista della carriera”.
Facciamo però un passo indietro nell'infanzia della Venezi come nell'infanzia di tutti noi, non c'è bisogno di conoscerla per analizzare il suo rifiuto ad essere chiamata direttrice. La lingua materna, quella che tutti noi impariamo dalle labbra della mamma quando dopo la lallazione ci spingiamo a pronunciare le prime paroline, ci condiziona: nostra madre, suo malgrado, ci ha insegnato a parlare con le regole che migliaia di anni prima di lei l'élite maschile ha imposto alla grammatica. Quando in una frase c'è un nome femminile ed uno maschile nella concordanza prevale il maschile. Ad esempio se dico: “Ho una cartella e un astuccio rossi” si comprende subito che l'aggettivo rosso si riferisce anche a cartella che però è un nome femminile e quindi andrebbe definita rossa. Andare contro questa regola grammaticale nel profondo di noi significa andare contro la madre dell'infanzia, non solo a lei ma addirittura all'archetipo materno, e diventa un rinnegare i suoi insegnamenti: per chi non si è mai messo in discussione è un sacrilegio. Lo comprendo, è pesante elaborare le abitudine linguistiche affettive, ma non è impossibile. Piano piano si deve staccare l'amore dalla parola pronunciata là e allora, in uno spazio temporale che non esiste più se non nei ricordi, e limitarsi a correggere ciò che finalmente è stato riconosciuto come discriminatorio nei confronti del femminile, sono certa che ogni madre capirebbe se glielo si spiegasse con la scioltezza di chi è consapevole e libera da pregiudizi.
A proposito della parola, quel suono umano che il linguista Ferdinand de Saussure (1857-1913), nella sua distinzione langue/parole, ritiene altro dalla lingua; vi ricordo che la lingua è un codice di regole e di strutture grammaticali che ognuno prende dal proprio contesto sociale senza poterle alterare. La parola invece è il momento individuale, variabile e creativo del linguaggio, il modo cioè con cui chi parla “utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio pensiero personale”. La lingua ci plasma, ci fa crescere come esseri pensanti, ma sa anche vincolarci. Come risolvere? Ricordando che non è possibile annullare le regole della grammatica usate sin d'ora, ma rivederle da ora in poi dipende anche da noi se abbiamo il coraggio di portare modifiche nel linguaggio quotidiano; ci riusciremo se saremo in grado di non lasciarci fagocitare dal maschilismo e nemmeno da una esagerata frenesia di buttare via secoli di linguaggio. La parità si raggiunge anche da come ci esprimiamo, mentre il maschilismo ce lo vuole impedire quando riesce ad impadronirsi del pensiero di una donna. Direttrice e non direttore, avvocata e non avvocato, ministra e non ministro.... si può fare!
Gorgia da Lentini, cinque secoli prima di Cristo, un antesignano che amo spesso ricordare per il suo contributo allo studio della lingua, nel sul Encomio di Elena si esprime così (chiudiamo un occhio sul suo maschilismo linguistico):
“[...] la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo corpo e invisibilissimo, divinissime cose sa compiere, riesce infatti a calmar la paura, e a eliminar il dolore, e a suscitare la gioia, e ad aumentare la pietà”. E, aggiungo io, a ripulire le mente dagli stereotipi: questo è il miracolo!
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