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Amici e nemici di Massimo Terni

Amici e nemici di Massimo Terni

“Amici e nemici” è l'ultimo romanzo di Massimo Terni, Gingko Edizioni, uscito pochi giorni fa. È un romanzo che fa parte di una trilogia che è iniziata con “Passioni tristi,”, è proseguita con “Cathay Hotel”, e che si chiude proprio con “Amici e nemici”, come se fosse una saga, saga che non ha niente a che vedere con quelle oggi in voga, ma che semmai è la particolare risposta letteraria che l'autore dà a sé stesso attraverso il lunghissimo viaggio che fa, senza dimenticare il mondo ampio in cui si misura da sempre (Massimo Terni è nato a Shanghai ed è di madre cinese), e senza fare sconti a niente e a nessuno.
È questo il più bello tra i tre libri per una semplice ragione: finalmente in questo libro lo storico e l'uomo di mondo si riappacificano, senza che l’uno tolga all’altro potere e sostanza, e questo diviene possibile attraverso il sentimento dell'amicizia, che chi vive anche di esposizione pubblica, come è nel caso dell’autore, necessariamente frequenta.
L'amicizia è innanzitutto un sentimento filosofico, il più alto, e poco c'entra con l'ipocrisia, il laissez faire, di natura strettamente borghese, che oggi sono stati soppiantati dal “mi piacismo” da social, un dato che Massimo Terni ignora perché è stato piacione di suo e a suo modo, ma più di tutto è riuscito a conquistare il suo posto nel mondo, in maniera più filosofica e storica di quanto non abbia fatto navigando nelle procelle di una vita pubblica, molto poco privata e molto affollata.
Il pregio dei tre libri è che non sono frutto di invenzioni mirabolanti, né della fantasia, ma che soprattutto sono la mappa storica del tempo in cui a Terni è toccato di vivere, e in cui è toccato di vivere anche a noi, tra amici diversi dai suoi, ma se tali li vogliamo definire "uguali" nell'intensità e nella durata.
È la sua un’opera proustiana, per la capacità di condensare e dilatare il tempo, di attraversarlo alla ricerca di conferme e di ricordi, e perché, in fondo, i nemici nel suo libro, se esistono, sono avvolti dalla dimenticanza e dal distacco, anche quando sono dichiarati e nominati.
Il suo palcoscenico, gli attori che vi si muovono li troverete nominati ad apertura del libro, è un palcoscenico conseguente, mai accidentale o peggio ancora accidentato e questo rende il tutto più godibile e anche più umano.
Lo storico/ filosofo che gioca a dadi con i ricordi diventa così letterato, in maniera naturale perché la scrittura quando si rivela a sé ha la grande capacità di ampliare lo sguardo, di ricomporre mondi e di lenire ferite che diversamente non potrebbero mai rimarginarsi.
Per tutte queste ragioni “Amici e nemici” è un libro che fa compagnia, come dovrebbe essere con i libri, e in più conoscendo il nostro autore il mondo in tutte le sue sfaccettature, più inquietanti e varie, di colpo, rende vani tutti gli esperimenti editoriali da cui siamo costantemente bersagliati. Massimo Terni ci dice che è inutile scrivere per mestiere se non si ha una vita da raccontare, e se in questa vita non si è affondati e risaliti con eguale ferocia, e che pure per insegnare, lavoro che ha scelto di fare per non essere solo un mondano con il pedigree, serve essere appassionati e amici di sé stessi innanzitutto, e che non basta esercitare una professione per crederci davvero, ma che serve darle il tempo di incrementarla, talvolta senza nemmeno starci a riflettere.
Per chi ama poi anche la narrazione delle vite di uomini illustri in questo libro, ma anche negli altri tre, troverete di tutto, da Salvator Dalì, a Alain Touraine, a Ottiero Ottieri e Silvana Mauri e potrei continuare, ma basterà leggerlo per saperlo, e senza che si scada nel pettegolezzo da social, perché nessuno dei suoi amici e pure dei suoi nemici esce triturato o violato dalla sua narrazione. La differenza tra l’uno e l’altro, amici /nemici (che poi rimandano a Carl Schmitt e al suo foro interno ed esterno) è data dal velo che lui pone tra sé e loro, grazie alle parole, e quindi tutto diventa anche un gioco di scoperta, in particolare per il lettore più manicheo e interessato alle "classifiche", un gioco anche questo letterario che è giusto venga esercitato da Terni.
Fortunatamente, la scrittura è uno dei pochi campi in cui si può migliorare, se cammin facendo si è imparato a scavare, senza aderire a uno schema piuttosto che a un altro, e soprattutto se non si rincorre il mercato per esigenze di sussistenza e di visibilità.
Il cinese, il soprannome che a Massimo Terni è stato dato per via di sua madre, lo sa, e con passo felpato e sguardo sornione si muove tra le pagine del suo romanzo, come se fosse tutto un grande sogno e pure un grande bluff.
Non vi resta che acquistarlo e leggerlo questo libro, e quando il libro sarà diventato un complemento di arredo, a fine lettura, ne sentirete la mancanza, come accade quando un amico vi lascia, per un attimo o talvolta per sempre, senza che niente di ciò che tra voi c’è stato si disperda o peggio ancora si tramuti in cenere.
Ps: non si possono recensire libri senza che non si abbia dimestichezza e consonanza con un autore, perché solo chi conosce vite e opere di un autore riesce a fare del testo che recensisce uno studio filologico, quello che la recensione dovrebbe essere, e riesce a essere obiettivo, dando la possibilità a chi leggerà, poi, di comprenderlo per davvero quel testo, senza che si tratti solo di una comprensione epidermica, quella che proprio mai dovrebbe accadere con qualsiasi autore, anche con quello più elementare e basico e cioè quello da plot, da cui siamo invasi qualsiasi latitudine e longitudine perché ormai la vita, per i più, è tutto un quiz, parafrasando il titolo del fortunato programma di Renzo Arbore e invece non è così, Massimo Terni, infatti ce lo spiega e ci dimostra non solo di avere vissuto, ma di avere anche interiorizzato tutti gli autori che ha letto, ha conosciuto, Albert Camus per esempio, come accade in questo passo in cui ci parla della sua vita in Algeria, passo che si muove in parallelo proprio con tutto quanto scritto da Camus sull'argomento.
«In Algeria ho fatto l'esperienza della lontananza assoluta. Nessuno dei vari luoghi dove ero stato aveva suscitato una reazione paragonabile. Un senso di solitudine senza rimedio. Io che in Italia avevo creduto di vivere la parte dello straniero, ora lo ero per davvero. Un terrestre catapultato tra marziani. L’esotico mi seduceva in maniera così violenta da darmi una sorta di malore. Ero frastornato e drogato da effetti olfattivi e sonori mai prima provati. Dappertutto masse in movimento, minacciosamente avvolgenti con le loro grida scomposte e portanti dietro di sé una scia di odori acri e penetranti. Erano tanti e tanti. Avrei desiderato degli spazi vuoti e un po’ di silenzio.»

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