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Gianni Rosa e l'iconografia sovranista del selfie

Gianni Rosa e l'iconografia sovranista del selfie

Non v'è dubbio: il tandem social network - smartphone ha partorito e forgiato un esercito di istrionici narcisi latenti e assetati di iconografico protagonismo. E se misurarsi in base al numero dei like è sicuramente una tagliola per gli adolescenti, lo è anche e soprattutto per gli adulti. Specialmente se questi ultimi sono chiamati, almeno sulla carta, ad un ruolo di serietà ed onorabilità.
Un tempo, non molto lontano, mettersi in posa per uno scatto nei luoghi più disparati ed improbabili era fonte di imbarazzo, addirittura di vergogna. Oggi, se ci fosse una poltrona, finanche uno sgabello da sottosegretario con delega al sefie o alla più sovrana, autarchica e patriota fotografia, dopo aver abilmente occupato quella da assessore regionale non eletto, andrebbe per merito e punti al senatore meloniano Gianni Rosa. L'APA (Associazione psichiatrica americana) l'ha definita semplicemente "Sindrome da selfie" teorizzando un atteggiamento legato all'estrema ricerca del consenso, di validazione e di approvazione sociale. Da Lecce a Viggiano, da Matera a Rapolla, da Roma al Tribunale di Potenza e così via. L'Henri Cartier-Bresson aviglianese, senza indugi, carica, posta e condivide con abilità maniacale. Ma, nei giorni della protesta dei trattori, di sorridenti diapositive con gli agricoltori sulla pagina Facebook del Selfie-made man della politica lucana nemmeno l'ombra, meglio un ottavo di Champions League: viva l'Europa, quella del pallone. Tu chiamale se vuoi istantanee.

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