Cerca

Reportage/15

Viaggio lungo le coste della Campania e della Grande Lucania e del loro sogno del mare d'inverno. Ultima fermata: Pozzuoli e il castello di vetro

Viaggio lungo le coste della Campania e della Grande Lucania e del loro sogno del mare d'inverno. Ultima tappa: Pozzuoli

Il viaggio lungo le coste della Campania e della Grande Lucania, e del suo mare “invisibile”, è iniziato dal Villaggio Coppola perché la costruzione di quel villaggio ha condizionato, e modificato, il modo di vedere il mare e di fruirne, diffondendo per la Campania e la Lucania , tutte, questa impostazione, impostazione con i suoi limiti ma anche con una visione del mare più "metropolitana", come se l'urbanizzazione estrema delle coste potesse portare benessere, ribaltando così la condizione umana ed esistenziale di chi usava il mare solo per pescare e per offrire alloggio a chi a mare voleva villeggiare.
E così per concludere questo viaggio serviva tornare sulla Domiziana, nel luogo in cui il sogno, infranto, del mare d'Inverno si congiunge con il sogno, infranto, dell’industrializzazione del Sud, industrializzazione che ha visto Bagnoli, con l'Italsider, e Pozzuoli, con l’Olivetti, le sue forme più compiute di realizzazione, ma anche la totale sconfitta di questo modo di volere trasformare il Sud dalla terra e con la logica di chi mai la terra la guarda dal mare.
Come è accaduto con il villaggio Coppola

Pozzuoli

Pozzuoli con il suo porto, i suoi reperti archeologici è la parte di Napoli più antica, al limite dell’usurato, come se una parte del corpo più popolare e secolare della città fosse stato catapultato lì, un fatto questo che ha consentito a Pozzuoli di rimanere in una condizione tale da rappresentare la Napoli che guarda al mare nella sua dimensione più semplice e lineare.
E però Pozzuoli che continuamente si muove, si sposta, si assesta, si riposiziona ha anche un particolare primato: essere l'unico luogo del Sud, sul mare, a non avere subito la “brutalizzazione” che l' Italsider ha fatto del mare a Bagnoli, grazie all’intuizione di Adriano Olivetti di costruire lì la sua fabbrica/azienda di calcolatori, un'operazione che non tendeva a deturpare i luoghi ma a farli crescere socialmente. Tutte cose che vennero trasposte da un punto di vista letterario da Ottiero Ottieri, che Olivetti aveva assunto per selezionare il personale e che da quell'esperienza lavorativa e umana fu risucchiato, inconsapevolmente forse, al punto da uscirne irrimediabilmente scisso, tra vita e pagina scritta, come la tutta la sua opera prova.
Questo esperimento sociale di Olivetti prevedeva uno “sfruttamento” più moderno e rispettoso del territorio, attraverso la costruzione di « un castello orizzontale di vetro, fluorescente di luci fredde – scrive in "Donnarumma all'assalto" Ottiero Ottieri (in una prima stesura manoscritta, contemplava fra i possibili titoli del libro anche "Il castello di vetro") - C’è il neon dietro i vetri. Gli abitanti della costa, i pescatori possono vederla così irraggiungibile da ogni punto del golfo».
Prima di allora questo tipo di operazioni urbanistiche, la smaterializzazione delle strutture abitative e produttive, smaterializzazione che porta alla trasparenza e all’integrazione non solo degli edifici ma anche delle persone che si ritrovano negli edifici, era stata fatta a Londra nel 1851 con la costruzione del Crystal Palace, operazione culminata nella spettacolarizzazione del visibile con la Gläserne Manufaktur Volkswagen di Dresda del 2001.
Realizzato all'inizio degli anni ’50 l'Olivetti di Pozzuoli venne costruito più in alto ma sulla linea della costa, in uno spazio di 15 ettari lungo la Domiziana.
Lo scopo di queste scelte architettoniche era quello di «scacciare l'infelicità» e di «accanirsi a creare la felicità», come sostiene Luigi Cosenza, progettista della fabbrica di Pozzuoli. La grande luce di Napoli sorregge la sua convinzione che l’enfasi retorica del Mezzogiorno, le sue ataviche arretratezze e un certo modo di essere di chi ci vive, potrebbero essere sconfessate dalla razionalizzazione architettonica e urbanistica, posizione che in un primo momento sembra condividere lo stesso Ottieri («Lo stabilimento fa gli uomini uguali, asciuga gli umori, riduce i vizi del carattere», p. 156) ma dalla quale finirà per prendere le distanze nel corso del racconto.»
In realtà si adombra il fallimento della politica meridionalista della borghesia illuminata italiana (l’unico tentativo minimamente serio di affrontare la questione meridionale), che non riesce a sfondare contro la piaga della disoccupazione e sottoccupazione delle popolazioni meridionali. In fondo è anche una critica alla teoria marxista “classica” : “Divenire, di colpo, da disoccupati operai meccanici sembra un miracolo di San Rocco, mentre altrove è un destino individuale nato dentro un destino di classe”. E non avere compreso a livello politico questi passaggi ha reso putrido il mare e ha favorito una narrazione del Sud distorta e paternalistica. »
È possibile ripensare il mare, alla luce di questo viaggio? Sì, a patto che gli si restituisca centralità e unicità, smettendo di credere che la soluzione per il mare sia un’urbanizzazione /industrializzazione forzata e forzosa, come se il mare fosse la fabbrica. Senza comprendere che anche in questo caso, quello del mare, si tratta di un destino individuale nato dentro un destino di classe, destino di classe che nel sistema capitalistico non esclude nessun essere umano e nessun luogo, che sia Inverno o sia Estate.

( 15 – fine )

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione