IL MATTINO
Reportage/13
26.08.2023 - 16:54
La sirena Parthenope
Il mare non bagna Napoli, abusatissima citazione del titolo del libro di Anna Maria Ortese, è la sintesi perfetta del destino di questa sirena possente, sirena possente che dell'acqua è uscita e si è distesa fino a diventare città, agglomerati urbani, tanto da non guardare più al mare ma sempre e solo al Vesuvio, Vesuvio da cui tra forza e fuoco e vita.
Se si parte da questo si comprende la Ortese e anche Napoli che il mare non guarda.
Anna Maria Ortese/ Raffaele La Capria
La Ortese con il libro che le ha garantito l'immortalità, “Il mare non bagna Napoli” per l'appunto, la fece deflagrare Napoli, la Napoli colta e borghese, quella degli scrittori che avevano accettato nel loro cenacolo solo lei come unica donna. Ma la Ortese li descrisse tutti a suo modo, e squarciò un velo sulla città, città di cui aveva capito ogni cosa, e da cui venne esclusa per sempre.
E che cosa aveva capito di Napoli, la Ortese?
Ne aveva capito la mollezza da sirena, il suo essere corpo sezionato e per questo talvolta nauseabondo, un corpo velato dal mare, quel mare che aveva e ha tante facce, che sia il Lido Mappatella o l'esclusivo club nautico del Beverello, o meglio ancora Posillipo che il mare guarda dall’alto. Per la Ortese invece non c’era differenza alcuna, perché la sirena che dell'acqua era uscita aveva determinato la scomparsa del mare e la sua urbanizzazione, e l’unico, dei suoi famosi e antichi compagni di merende, che potesse tenerle testa, in questa sua disamina, era solo Dudù, Raffaele La Capria, che però il mare lo vedeva da presso, al punto di tuffarcisi dentro, direttamente, da Palazzo D'Anna, e quindi offrendo una prospettiva borghese del “problema mare” , prospettiva borghese che la Ortese non poteva assolutamente avere e che era anche il suo limite.
Su questo controcanto, e solo su questo, il mare a Napoli si regge, e cioè da una parte a Napoli il mare è lì e ci si tuffa di diritto, che si abiti a Palazzo D' Anna o altrove, ma proprio perché per arrivare in mare la sirena deve muoversi, camminare, attraversare la città, appare evidente come durante il viaggio perda qualcosa arrivando in mare stremata, sporca.
Il porto/corpo di Napoli
Il porto di Napoli con il suo traffico di merci e di passeggeri fa concorrenza alla vita intensa e tentacolare della città, e contribuisce a rendere il mare una dependance della sirena Parthenope, lo fa talmente bene da riuscire a creare una sinergia assoluta, come è accaduto con la Ortese e La Capria che hanno posto la “questione” mare a Napoli in testa a qualsiasi altra, tanto da diventare entrambi contemporanei e postmoderni in maniera felice e pure drammatica.
La sirena che ha sfidato il mare, diventando città, ha prodotto di tutto, dall’abusivismo sfrenato, alla totale disarticolazione della realtà, una realtà che è solo un continuo ed eterno chiaroscuro, per questo braccio di ferro che si consuma tra elementi, perché a Napoli il mare fa a braccio di ferro con la terra, la sirena, sirena che ha come unico limite il Vesuvio, il fuoco, visto che anche l'aria è sotto la sua giurisdizione.
Il mare di Napoli
E quindi il mare di Napoli è un mare altro, un mare difficile da interpretare se non si pensa innanzitutto alla sirena, un fatto su cui fino in fondo non si è mai riflettuto perché pappagallescamente si guarda a Napoli dal mare e nel mare, e invece serve guardare alla sirena come hanno fatto la Ortese e La Capria in maniera istintuale e visionaria, e con loro serve fare i conti per "sfruttare" la sirena e restituirla al mare come è giusto che sia, pena un’agonia lenta e costante, un'agonia barocca che fa gemere la città, perché il corpo della sirena crea tane, vicoli, nascondigli, nascondigli per gli abitanti/polpo, nascondigli talmente perfetti da essere quartieri talvolta panoramici, talvolta assolati e polverosi, dove da qualsiasi parte si guardi si sente il peso/ lamento del mare, un lamento che fa impazzire e che non porta pace a nessuno, come la Ortese e La Capria sapevano, al punto che citarli senza separarli conduce a una ricongiunzione, almeno letteraria della sirena e del mare, per fare sì che davvero il mare bagni Napoli e per davvero.
Gran finale
« Come un imbuto viscido il cortile, con la punta verso il cielo e i muri lebbrosi fitti di miserabili balconi; gli archi dei terreni, neri, coi lumi brillanti a cerchio intorno all' Addolorata; il selciato bianco di acqua rapinata, le foglie di cavolo, i pezzi di carta, i rifiuti, e, in mezzo al cortile, quel gruppo di cristiani cenciosi e deformi, coi visi butterei dalla miseria e dalla rassegnazione, che la guardavano ampiamente. Cominciarono a torcersi, a confondersi, a ingigantire.
La spigola, quell’ombra grigia, profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come una fortezza volante quando la vedevi arrivare ancora silenziosa nel cerchio tranquillo del mattino. L'occhio fisso, di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera cinese - è vicina, vicinissima, a tiro – La Grande Occasione […] Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile. La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla , e scompare in una zona d’ombra, nel buio degli scogli.[…] Per gli oscuri corridoi sottomarini, ombre come alghe viola, e gelo in tutto il corpo. »
( 13 – continua )
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