IL MATTINO
Libri
24.07.2023 - 19:09
Sono passati trent'anni dalla morte di Raul Gardini e il corpo dell'uomo è ancora intatto davanti a noi, con le sue luci, le sue ombre, ma anche con la sua spinta propulsiva e con quella vitalità amara che Raul Gardini portava stampata in faccia.
Per l'occasione, tra i tanti ricordi che affollano le pagine dei giornali, due documenti sono particolarmente interessanti perché cercano di ricostruire un'epoca, al di là della messa sotto accusa o dell’assoluzione pilatesca di Raul Gardini, del mondo in cui si è misurato, e delle dinamiche ancora del tutto chiare sulla sua morte. Questi documenti sono il libro di Elena Stancanelli dal titolo "Il tuffatore", edito da La Nave di Teseo, e la docufiction di Francesco Miccichè dal titolo "Raul Gardini" con Fabrizio Bentivoglio come protagonista. Il libro e la docufiction camminano di pari passo, restituendo il primato all’uomo Gardini, quel primato che lo ha reso un eroe tragico ma anche sicuro interprete del tempo in cui ha vissuto.
"La prima volta che mi è stato proposto il ruolo di Raul Gardini, per un film che poi non si è più fatto, come spesso succede, risale a una decina di anni fa, lasciando in me un certo rimpianto. Ma credo anche in lui, non contento già allora di essere stato dimenticato” - dice Fabrizio Bentivoglio - "Quindi, quando ho ricevuto la telefonata di Francesco Miccichè [...]non solo non ho fatto alcuna fatica nel sentirlo subito anche mio il suo progetto, ma ci siamo anche detti con Miccichè che avremmo diviso i compiti: il documentario avrebbe raccontato Gardini, l'uomo pubblico, l'industriale; il film avrebbe raccontato Raul, l'uomo privato, il marito, il padre, l'amico e a cose fatte posso dire con certezza, anche per la rapidità con cui il tutto è stato girato, che questo Raul è sgorgato autonomamente, malgrado me, come se avesse anche lui una certa fretta di uscire e di liberarmi da quella promessa fattagli più di dieci anni fa»
"La docufiction dedicata a Raul Gardini è significativa per diversi motivi. Ripropone una personalità complessa, come gli anni in cui ha vissuto, e le contraddizioni di un imprenditore dalla visione strategica. Un modo questo per approfondire l'avventura del Moro di Venezia e i difficili anni di Tangentopoli” ricorda Maria Pia Ammirati direttrice di Rai Fiction.
Il risultato è assolutamente apprezzabile per quanto la fisicità di Fabrizio Bentivoglio sia lontanissima da quella di Raul Gardini, ma proprio avere fatto scorrere la storia della fiction con i filmati del tempo non rende la fiction soporifera, perché la realtà dei documenti proposti è ancora parte viva della realtà del nostro paese.
Il libro della Stancanelli entra invece con più decisione nella carne perché è un libro che attraverso la parabola esistenziale di quello che è stato il capitano d’azienda più “maschio” d’Italia, proprio del maschio, e al maschio, vuole parlare e anche all'autrice stessa, la cui storia personale è molto vicina a livello emotivo a quella di Raul Gardini. Un doppio binario che parla di mondi perduti e di passioni come la caccia e come l'azzardo, le passioni più smodate di Raul Gardini. Una passione, questa della caccia, interclassista, capace di avvicinare gli uomini, e di creare vera intimità. Non a caso anche il padre della Stancanelli aveva questa passione, una passione che sua madre tollerava, come accadeva nelle famiglie di un tempo, facendo finta di dimenticare nel freezer tutti i trofei ornati di piume e di becco lasciati a ibernare, evitando così attriti e discussioni, quelle discussioni cui lo stesso Gardini pose fine con un colpo di pistola.
Oltre questo ci sono altri intrecci che avvicinano l’autrice e Gardini, al punto da rendere la narrazione intricata.
La tensione erotica che le parole esercitano sul lettore è quella del romanzo, benché ci sia stato, anche in questo caso, un lungo lavoro di gestazione e preparatorio, lavoro documentato dalla nutrita bibliografia di cui il libro è corredato, ma anche dai passaggi tra stili e tempi e luoghi e personaggi all’interno del libro stesso, e dalla presenza della cronaca del tempo, puntuale, precisa.
La tensione erotica che tiene in piedi le pagine consente a Raul Gardini di tornare in vita, al punto di intravederne la perenne abbronzatura, e quel suo stare in mezzo al mondo dei ricchi e dei soldi in maniera strafottente ma padrona.
Di ogni cosa tiene conto la Stancanelli nel suo libro, che è un affresco della meglio e della peggio maturità degli anni che hanno fatto da cornice alla gioventù di chi è nato un po’ prima degli anni ‘70, e che ha visto cambiare, radicalmente, il mondo in cui viveva, quel mondo che dopo il boom economico degli anni ‘60 cercava un’altra identità.
Gardini quel piccolo mondo antico lo ha attraversato, e ha cercato di modellarlo a propria immagine, ipotizzando un altrove, complice Serafino Ferruzzi che, prima che sua figlia se ne innamorasse, si era innamorato di questo ragazzo che come lui amava la caccia, l’azzardo, le strette di mano e la capacità di viaggiare in ogni dove, prima di chiunque altro.
Non è un caso che il libro si intitoli "Il tuffatore", un omaggio a La Capria e al suo “Ferito a Morte”, ma anche a Gardini stesso e al suo bisogno di tuffarsi sempre, al punto di scegliere il tuffo finale, con la consapevole spregiudicatezza di dovere chiudere il sipario non solo per sé, ma anche per gli altri, così da riportare la vita di chi più gli era caro lontano dal clamore che solo lui, a tratti, poteva sopportare.
Eppure nel libro anche nei momenti più cupi mai si percepisce il senso della sconfitta perché il baluginio del sorriso di Gardini è presente in ogni rigo.
Con Gardini e con il suo tempo, che non è più nemmeno il nostro, la Stancanelli celebra la morte anche delle scoperte che quel tempo hanno modellato, plastica compresa.
Oggi, ogni cosa viene pianificata e subita, mai attraversata e trasformata, anche la pensione di politici e dei grand commis viene rimandata, come se ognuno aspettasse un evento risolutivo esterno, senza la voglia di dare a questo evento la propria impronta, senza sentire il bisogno di buttarsi in mare e basta, e di andare oltre le colonne di Ercole.
« Scrive Cesare Garboli in un piccolo saggio intitolato il trionfo della morte: “Che cosa mi dicono i miei poveri strumenti di letterato? Che il suicidio ‘termale’ di Raul Gardini, quasi ai bordi di una vasca da bagno, può essere letto come un'espressione di attivismo di marca romana, unito al disprezzo della vita di un eroe sportivo che vive il suo giorno di sole alla Hemingway, al mare e al vento, il sorriso sempre splendente e quasi spudorato, i denti scintillanti tra le labbra tagliate come una ferita, la bocca dal segno così perfetto e invitante da sembrare invereconda. Il trionfo della morte in accappatoio evoca sensazioni di un secolo fa. Il piacere del rischio, la lentezza dell’emozione, il gusto alcibiadeo di provocare lo stupore e l’invidia portano da noi il nome di Gabriele D’Annunzio. Non abbiamo altro, in casa nostra, che ci aiuti a connotare letterariamente il gusto panico della vita. L’ultimo gesto di Gardini s’iscrive dentro uno schema letterario di moderna classicità eroica da campione che taglia sempre per primo il traguardo. La morte viene vissuta e voluta da protagonista, delegata a rappresentare e a esaltare, contro ogni logica, l’eterna giovinezza e la gioia di vincere. "Non mi vedrete mai nella polvere", è il messaggio della PPK di Gardini».
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