IL MATTINO
Televisione
14.04.2023 - 16:31
Il Gattopardo torna in pista, è il caso di scriverlo, grazie a Thomas Shankland che farà, del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, una serie di sei puntate per Netflix.
Shankland per realizzare questa serie si farà aiutare da un direttore della fotografia danese, Nicolaj Bruel, da un costumista e da uno scenografo italiani, Carlo Poggioli e Dimitri Capuani, mentre la produzione è dell’italiana Indiana Production e dell’inglese Moonage Pictures.
Sarà una serie in costume, come "The Crowne", e il regista si avvarrà di Richard Warlow e Benni Walters per la sceneggiatura.
«Vogliamo gettare uno sguardo moderno su questa storia del passato. [...] Abbiamo l’opportunità di fare una serie adatta sia al pubblico italiano, sia al pubblico internazionale, perché i temi del Gattopardo sono universali. La voce di Tomasi di Lampedusa, d’altronde, è moderna, ironica, sensuale, psicologica».
E poi serve sottolineare che per il regista inglese la Sicilia è un luogo del cuore, grazie al padre insegnante d’italiano che amava "Il Gattopardo", era il suo romanzo preferito, al punto di portare la famiglia in vacanza nei luoghi che al libro facevano da sfondo, come ha detto lui stesso:
«Il libro e il film sono stati fondamentali per gran parte della mia vita. Ma soprattutto è stata importante la Sicilia: ci sono stato molte volte grazie a mio padre».
Capodanno è stata l'ultima volta in cui il regista è andato in Sicilia, prima dell'inizio delle riprese di questi giorni, ed ha visitato Palazzo Comitini, sede dal 1860 dell'Amministrazione Provinciale di Palermo.
Ma perché questo libro, che ha avuto una storia controversa, legata alla sua pubblicazione, piace ancora al punto di volerne fare una serie Tv?
Perché il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è un libro con una sua storia particolare, per le sue diverse stesure e per il fatto che è il lavoro di tutta una vita. Temi variamente affrontati, tanto più che a noi rimane un’opera, che anche nella versione cinematografica di Luchino Visconti, mantiene intatta la sua magia.
La storia del Principe di Salina e della Sicilia borbonica al tramonto (Sicilia borbonica che fa da sfondo ad un mondo che cambia restando uguale a sé ) è la chiave di lettura più ovvia, e sicuramente quella che rende questo libro un classico.
I profumi, i colori della Sicilia, si fondono con l’immagine di Don Fabrizio che si snoda con costanza e continuità tra le pagine, intrecciandosi con la storia e la vita degli altri protagonisti del romanzo, quasi a riempire la figura di quest’uomo definito immenso e fortissimo. E sembra che tutto debba racchiudersi in lui, ma in maniera simmetrica, nello stesso modo in cui la pagina procede.
Tutto è costruito per placare lo smodato desiderio di vita del protagonista, e ogni personaggio è un suo frammento (quasi a dargli una possibilità diversa di esistere) all’interno di una realtà soffocata dalle apparenze, e da una realtà epidermicamente ripetitiva.
La cosa di sicuro più interessante, che ha dato anch’essa ampio spazio ai dibattiti e alle polemiche, è il modo in cui Tomasi di Lampedusa usa le parole (parole sono usate per "dare aria" e misura alle pagine, al posto dei segni d’interpunzione).
Aprite Il Gattopardo e immaginate di non trovarli più i segni d’interpunzione, scoprirete come le parole, da sole, facciano da contrappunto alla struttura, come la cadenza sia determinata da un appoggio di voce, da un suono insito nel significato della parola stessa, dal divenire della frase.
Questo fa comprendere come un libro ancora oggi, accettato o rifiutato, trovi nella parola la sua ragion d’essere, al di là dei formalismi stilistici e della pastosità del linguaggio.
Ed è anche la ragione del suo lungo calvario alla ricerca di un editore, nonostante i lettori privilegiati fossero ben attenti e capaci di comprenderne la forza, ma ancora convinti che scrivere fosse solo un abile gioco di punti e virgola.
"II Gattopardo" venne pubblicato, postumo, da Feltrinelli, per volontà di Giorgio Bassani, nel 1958, e diventò subito un best seller e un "caso letterario".
Il romanzo contribuì ad alimentare il dibattito culturale in Italia, e il fatto che Elio Vittorini, consulente della Einaudi, ne avesse rifiutato la pubblicazione (riteneva che il romanzo non avesse una struttura) segnò lo spartiacque in quello che da quel momento in poi fu il modo di scegliere i libri da pubblicare.
In pratica si crearono due macro gruppi, da una parte quelli che volevano e credevano nella struttura del romanzo ottocentesco, come Vittorini e come anche i gruppi d'avanguardia che si sarebbero susseguiti, e quelli che come Giorgio Bassani erano a favore dell’erompere del lirismo nel testo.
Vittorini e tutti quelli che lo seguirono non avevano compreso la differenza tra un testo in cui la storia fa da architrave alla struttura, e un testo in cui l’architrave è la parola stessa, aprendo in questo modo la strada ai plot, a tutto discapito di testi più originali e interessanti in cui l’abilità di scrittura dell’autore fa la fortuna del libro.
La modernità di questo romanzo è tutta qui: nella sua capacità di essere profondamente radicato nella terra di cui parla, ma anche nella sua capacità di riuscire a capovolgere le regole, dando una lezione di scrittura a tutti. Ed è questa sua modernità di scrittura che riesce a rendere la storia ancora interessante, al punto da poterne fare una serie Netflix, che si conferma essere la piattaforma online più attenta alla qualità dei contenuti che produce, un fatto questo tutt’altro che secondario.
C'è anche una novità nella serie, sarà Concetta, la figlia del principe di Salina a fare da fulcro. Sarà lei a lottare contro il mondo in cui vive e che non riesce ad accettare, diventando così, a tutti gli effetti, coprotagonista insieme a suo padre.
Un grande escamotage possibile anche grazie e soprattutto alla tessitura letteraria di Tomasi di Lampedusa.
Una bella rivincita.
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