IL MATTINO
Storie
05.04.2023 - 16:31
Il mito della balena bianca è qualcosa di più di un mito, è al contrario una storia realissima, storia che grazie a Melville e al suo “Moby Dick or The Whale” è radicata, profondamente, dentro di noi.
Balene, capodogli, lo era Moby Dick, un capodoglio albino, sono animali molto intelligenti, con spiccate capacità cognitive, per questa ragione si tramandano conoscenze, e possiedono abitudini, linguaggi, suoni, che differiscono a secondo delle zone in cui vivono.
Per queste ragioni la balena bianca diventa un involucro molto più che capiente per contenere tutto il mondo e i suoi saperi, e anche chi voglia misurare solo con se stesso.
È il caso del protagonista di “The Whale” , Charlie, un professore d'inglese, professore d'inglese che è talmente ingombrante da avere scelto la sua stanza, Zoom, a telecamere spente (e quindi ha scelto il buio per esistere)per fare lezione ai suoi studenti, e come accade con le balene, utilizza la voce come strumento per comunicare, e per farsi accettare. Un fatto questo che fa pensare non solo a Moby Dick (citato nel titolo e nel film diverse volte, sin dalla scena d’apertura, scena d'apertura in cui Charlie chiede che gli venga letto l'estratto di un saggio su Melville) ma che fa pensare anche a “La voce umana” di Jean Cocteau.
Nel caso di” The Whale”, il regista Darren Aronofsky ci mostra il protagonista, non tanto perché è un uomo fuori misura ma, perché il suo essere fuori misura è una conseguenza della perdita dell’amore della figlia Ellie, e delle ossessioni su cui la sua vita si consuma, come nel caso di Cocteau e della sua pièce. Pièce in cui la protagonista, per chiudere una storia d'amore, utilizza il telefono come “medium", in luogo dello schermo di Charlie, per non rendere il vissuto, ormai passato, della storia d'amore finita, malefico solo per lei, e non rimanere schiava, così, del senso di perdita e delle ossessioni che la fine di un amore porta con sé.
“Il personaggio è una vittima mediocre, totalmente innamorata, che tenta un solo inganno: tendere un appiglio all’uomo perché confessi la sua menzogna e non le lasci quel meschino ricordo”, scrive Cocteau.
Mentre nel libro, nella traduzione di Cesare Pavese, a proposito del personaggio c’è scritto « La Balena Bianca gli notava davanti come la monomaniaca incarnazione di tutte quelle forze malvagie da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell'intimo».
In entrambi i casi si tratta di monologhi, per la dimensione interiore che vengono ad assumere le due storie, monologhi in cui i silenzi, le pause, le esitazioni raccontano di più delle parole. Un fatto questo che nel film viene amplificato dalla presenza del buio in cui il professore/ Freser si impone quando fa lezione.
C’è anche da dire che seguendo l'impostazione di Cocteau e de “La sua voce umana” qualsiasi attore mettendo in scena il suo testo, anche rivisto e corretto come nel caso di “The Whale”, può dare prova delle proprie capacità recitative, mostrando le sfumature più dolorose e mostruose del vivere, e non a caso Brendan Freser, ha conquistato il premio Oscar, per questa sua interpretazione come attore protagonista.
La macchina da presa lo afferra di peso, e lo mette sotto il microscopio, evidenziando il buio denso in cui si muovono il suo volto e la sua voce, mentre il mondo gira. È questo rappresentato nel film un buio denso in cui il corpo, armatura extralarge, fa da contenitore malato di: solitudini e di errori esistenziali, di sincerità e di egoismo, di identità sessuale e di discriminazioni, del giogo della fede e della paura della morte. A volere rompere questa idea malata e dannata, tutta contemporanea, che il corpo diventi ostaggio doloroso del format “Vite al limite”, la cui visione tanto appassiona americani ed europei, per la spettacolarizzazione del brutto e dell’osceno, al punto di pensare che il peso esagerato del protagonista possa essere il tema principale del film. E invece il vero nocciolo del film è che non esiste più uno spazio segreto, nemmeno il buio, per tutto ciò che di noi non può essere esposto e compreso.
È così il film procede su questo binario doppio e letterario, quello del capodoglio albino di Melville, e quello de “La voce umana” di Cocteau, senza discostarsene, e questa aderenza alla Letteratura gli consente di andare oltre, e di agguantare gli Oscar. Anche se questa messa in scena non gli permetterà di agguantare tutti gli spettatori possibili, così da aprirsi ad un pubblico più vasto, perché la fitta rete di rimandi e di citazioni lo pone sul piano di una fruizione più profonda e tutt’altro che istintiva.
“The Whale” infatti nasce a teatro, nel 2012 per mano di Samuel D. Hunter, che firma anche l'adattamento cinematografico, ed è perfettamente concepibile che “La voce umana” di Cocteau sia entrata nell’ingranaggio narrativo di Hunter.
Per queste ragioni “The Whale” è un film affollato e non risolutivo, ma la storia che narra è eterna e nello stesso tempo primordiale, e a mano a mano che la voce del protagonista diventa sempre più insinuante, il buio si dirada e il passato perde il suo potere costrittivo, al punto di fare riuscire a recuperare al protagonista il senso della vita e dei propri affetti, senso della vita che si conclude con la levitazione, fenomeno più antico del capodoglio albino, e della necessità di umanizzare la voce attraverso l'ascolto di sé e dell'altro. Se dopo la levitazione ci sia altro non è importante sapere, ciò che conta è la capacità di arrivare a comprendere, vivendo senza danneggiare se stessi e chi si ama.
E infatti lo sceneggiatore Hunter dice in un'intervista, al Los Angeles Times, a proposito del finale da lui non previsto ma scelto dal regista:
«Alla fine abbandoniamo il realismo, non ci interessa più la storia di un uomo nel suo appartamento. (…) Quello che conta è che lui è finalmente connesso con Ellie, che è ciò che prova a fare per tutta la storia. (…) È l’apice del film e Charlie che letteralmente si solleva dal suolo.». Charlie muore? «Non è necessariamente rilevante». Alla fine, torniamo a un momento del passato in cui c’è «un uomo che guarda dritto dentro l’abisso dell’auto- realizzazione e contempla la decisione che deve prendere e le diverse strade che ha davanti». Questo perché, a volte, qualunque sia la nostra scelta, tutto è destinato ad andare in rovina ».
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