IL MATTINO
analisi
16.03.2023 - 09:22
Senza “Il Padrino” di Mario Puzo, o meglio senza la versione cinematografica di Francis Ford Coppola de “Il Padrino” di Mario Puzo, la criminalità sarebbe così seduttiva, oggi, ai nostri occhi? La scorsa settimana, venerdì 9 Marzo, Iris Tv ha mandato in onda “Il Padrino” I parte, i prossimi venerdì seguiranno la II e la III parte della saga, saga ambientata negli anni ’40, e che vede come protagonista una famiglia mafiosa di origine siciliana. La saga accompagna l'evoluzione della famiglia e il suo cambiare pelle all’interno del sistema socio-economico americano. Il film è il padre di tutti i film, e di tutte le serie Tv, americane e non, sull'argomento, perché percorre, al di là della narrazione della storia di una famiglia criminale, “la strada dell'analisi sociopolitica, dalla corruzione alla rivoluzione cubana, del romanzo di formazione, del film di gangster tradizionale, del film di denuncia ( la terza parte) per poi arrivare da dove era partito, e nel pieno rispetto delle regole della tragedia, dagli antichi greci alla New Hollywood”. In pratica, con il suo amplissimo respiro, questo film ha favorito la nascita di una subcultura criminale accettata, al punto di consentire il radicamento delle storie criminali nella realtà. Tutti, negli ultimi cinquanta anni, si sono rifatti a “Il Padrino” di Francis Ford Coppola, dagli scrittori, agli sceneggiatori, ai registi, fino ai criminali, non ultimo Matteo Messina Denaro, dimenticando però che non era nelle intenzioni del regista, degli attori protagonisti, e meno che mai di Marlon Brando di fare gli apologeti del crimine. Marlon Brando viveva lontano dal divismo di cui la sua esistenza era intrisa, al punto di non andare a ritirare l'Oscar, per la sua interpretazione di Vito Corleone, come segno di protesta per le ingiustizie perpetrate nei confronti dei nativi americani, al suo posto lo ritirò Sacheen Littlefeather, attrice di origini Apache, figuriamoci se voleva passare alla storia come un assassino.
Marlon Brando, mentre recitava la parte malinconica e perdente di Vito Corleone, pensava a sé e al suo declino, non di certo pensava di diventare un'icona criminale, o almeno non lo pensava nei termini in cui è accaduto. In ogni caso, ed è bene sottolinearlo, i criminali, malgrado le loro pessime intenzioni, e la loro voglia di emulazione, difettavano, e difettano, tutti del suo carisma, un carisma scenico e cinematografico, distante anni luce dal carisma raggiunto con la violenza e la sopraffazione da costoro nella vita reale. Di quella saga noi siamo figli, e benché prima della famosa trilogia di Francis Ford Coppola, di film sulla criminalità ne siano stati girati diversi, e con attori importanti come: Edward j Robinson, Boris Karloff, tra gli altri, nessuno dei film precedenti aveva scalfito la “patina” del bene, a favore dell'accettazione del male, come alternativa esistente e possibile di vita integrata nel sistema democratico. Se è accaduto è stato perché “Il Padrino si sviluppa sulla linea sottile che separa la caricatura dall’apologia, la critica storica e sociologica dall’esaltazione epica”, ma con la consapevolezza che fosse solo cinema.
Inoltre con “Il Padrino”, la riscrittura cinematografica, assunse un ruolo fondamentale per portare al successo a cinema, e sugli altri supporti multimediali, le storie, storie, che grazie a questa operazione di revisione e riadattamento per il cinema, avrebbero garantito un lavoro a un esercito di autori in cerca di visibilità, senza volere modificare la percezione del crimine, edulcorandolo. Per queste ragioni a rivederlo oggi, e per l'ennesima volta, quasi si ravvede l'inutilità di tutto ciò che, dopo questa trasposizione cinematografica, della criminalità c’è stato, in termini proprio di narrazione, perché oggi ciò che conta è trasformare le storie in soap, così da rendere accettabile anche l’indigesto e l'inammissibile del mondo del crimine.
L’aver normalizzato scelte di vita estreme, al punto di esasperare la violenza o di addomesticarla, tanto da farla scomparire, serve a nascondere la mancanza di idee, e la povertà di contenuti, di ciò che ci viene propinato come narrazione del quotidiano, banale ,del male, in pratica dal feuilleton siamo arrivati alla serializzazione soft, con personaggi che, spesso, prima si muovono in maniera estrema sullo schermo, e poi di punto in bianco scompaiono, perché i dati Auditel hanno subito delle flessioni, e poiché il pubblico non gradisce l'andamento che la storia ha, i personaggi devono essere abortiti senza che vi sia una logica, a tutto danno della qualità e della autenticità dei prodotti.
Al contempo i nomi/soprannomi usati per i protagonisti sembrano spesso uscire più da un film della Disney che dalla vita di tutti i giorni, quasi a volerne così diminuire la portata criminale, come quando per rabbonire qualcuno, un po' burbero, si usano i vezzeggiativi. A questo punto, c’è da chiedersi, se non sia meglio fare tabula rasa di tutta questa criminalità in versione soap opera, per non correre il rischio di abituarci a questa melassa indistinta, che è sì a tratti più violenta e reale, ma che è anche talmente addomesticata e “manipolata” da poter essere utile, solamente, a chi più che vivere nella realtà, in maniera propositiva e critica, si accontenta di ammainare bandiere, tra una sparatoria osservata alla Tv, e una passeggiata al chiaro di luna. Una realtà, questa, lontana dal degrado esistenziale dei vicoli, uguali ed eterni, ma mai più raccontati in maniera esemplare e drammatica come ha fatto Francis Ford Coppola con i suoi criminali analfabeti e senza limiti, insomma facendoli risultare per quello che erano e sono: dei perdenti e degli assassini.
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