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Crisi profonda

Coronavirus. Il comparto wedding al collasso: parla Luciana Pepe imprenditrice, proprietaria di un noto atelier potentino

Abituati a raccontare emozioni, gli operatori del settore, dedicato al matrimonio e alle cerimonie, sono ora nella totale disperazione: nozze rinviate e costi insostenibili

Coronavirus. Il comparto wedding al collasso: parla Luciana Pepe imprenditrice, proprietaria di un noto atelier potentino

Luciana Pepe e sua figlia Denise

Luciana Pepe è un'imprenditrice, conosciuta in tutta la Regione come la proprietaria di un noto atelier di Potenza. Si dedica da anni alla cura di ogni dettaglio, gli sposi sono coccolati con accortezze che fanno emergere la sua competenza acquisita grazie all’esperienza. Il 2020 doveva essere l’anno della ripresa totale, delle cerimonie e dei matrimoni. In molti avevano già fissato la loro data e provato gli abiti. Il Coronavirus ha però cancellato tutte le speranze di grandi festeggiamenti, che sono alla base dell’economia di questo settore. Luciana è anche portavoce del comitato "Professione Wedding Basilicata" che, assieme a decine di esercenti, il 13 maggio ha simbolicamente affisso al cancello della Regione Basilicata le chiavi delle attività. La redazione ha contattato la professionista lucana per un’analisi della situazione e per raccogliere le sue proposte.

Come sta vivendo questo momento?

«Come imprenditrice non vedo spiragli di ripresa, il 2020 sarà un anno a fatturato zero. Gli aiuti non sono aiuti di qualità che possano rappresentare un traghetto fino al 2021. Se Dio vorrà vedremo le prime cerimonie solo nel 2021. Nel rapporto con le mie clienti cerco di gestire delle emozioni che non ci appartengono, viviamo sempre dei momenti indimenticabili che adesso sono contornati da ansia e preoccupazioni. Vedere rimandati il 98 per cento dei matrimoni è destabilizzante. Immortaliamo sempre lacrime di gioia adesso, percepisco davvero il disagio che questo evento sta comportando in ognuno di noi e nelle spose che da tempo avevo iniziato a seguire».

Impossibile realizzare un riscontro con lo scorso anno. Come si presentava il 2020?

«C’erano tutti i termini positivi per fare meglio rispetto allo scorso anno. Il 2020 si presentava come un anno di grandi festeggiamenti, di grandi cerimonie. Personalmente avevo previsto, in un bilancio tra gennaio e febbraio, un 20 per cento di introiti in più rispetto al 2019. Una percentuale che sarebbe salita con gli abiti da uomo. Adesso invece siamo in netta perdita».

Quali sono le richieste che farebbe al Governo? Di cosa necessita il suo settore?

«La prima cosa che il Governo dovrebbe capire è che la filiera del wedding non dovrebbe essere accorpata alle altre attività. Una sala ricevimenti non è paragonabile ad una pizzeria o un semplice ristorante, non può quindi avere la stessa ripresa di un ristorante normale. Se il ristorante può fare l’asporto, non può di certo farlo la sala ricevimenti. L’atelier non può essere paragonata alla boutique, io non faccio prêt-à-porter, non essendoci cerimonie non ho un bacino di utenza. È su questo dato che il Governo dovrebbe concentrarsi. Il turismo è crollato, ma forse qualcuno deciderà comunque di andare al mare, ma se non ci sono matrimoni nessuno verrà ad acquistare un abito da cerimonia. Concretamente il Governo dovrebbe calcolare un fondo perduto, non solo sui primi quattro mesi dell’anno, ma almeno fino ad ottobre mese nel quale ogni anno abbiamo la contezza del nostro fatturato. Non è possibile dare 2.000 ero per tutte le attività, un fotografo potrebbe forse rientrare nelle spese ma non ad un atelier con assegni a scadenza ogni mese di 30 mila euro. Bisogna effettuare una disamina attività per attività. È impossibile generalizzare. Il nostro limite sta proprio in questo. Noi programmiamo gli acquisti un anno prima, firmando contratti con le aziende, dando garanzie. Da marzo ad ottobre, un atelier come il mio ha come minimo 30 mila euro di spese al mese».

Lei è portavoce del Comitato "Professione Wedding Basilicata". Cosa chiedete alla Regione?

«Nella nostra ultima protesta, abbiamo specificato che non vogliamo regali dallo Stato. Noi siamo lavoratori, noi vogliamo lavorare. Abbiamo chiesto di realizzare dei finanziamenti ad hoc con tassi bassissimi e un piano di rientro a partire da 24 mesi, abbiamo necessità di tornare a lavorare. Siamo disposti ad indebitarci: il fondo perduto, un finanziamento che ci possa aiutare ad avere liquidità almeno fino a dicembre. Sarebbe necessaria una cassa integrazione almeno fino a dicembre 2020 per tutti i nostri dipendenti».

 

 

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