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Politica e sviluppo

Coluzzi: «La necessità prioritaria è attuare al più presto un programma di crescita»

La candidata di Fratelli d'Italia alza il tiro, straccia la visione dell'assessore in pectore grillino e illustra la sua idea di sviluppo

Coluzzi: «La necessità prioritaria è attuare al più presto un programma di crescita»

Rosanna Coluzzi

«Migliaia di posti di lavoro senza ricorso alle royalty del petrolio». Uno slogan quello lanciato qualche giorno fa da Pietro De Sarlo, ingegnere, economista, assessore in pectore pentastellato se la Regione dovesse finire sotto la guida dei grillini. A rintuzzarlo, punto dopo punto, è la candidata di Fratelli d'Italia Rosanna Coluzzi, che bolla la visione di De Sarlo come una «ipotesi suggestiva ma impossibile da attuare in Basilicata, non ora, non quando la necessità prioritaria è attuare nel più breve tempo possibile un programma di crescita». Ecco le ragioni di Coluzzi: «Innanzitutto, considerate le caratteristiche di essenzialità dei servizi, la ridotta elasticità della domanda e gli alti livelli di regolamentazione, il rendimento delle infrastrutture è tipicamente inferiore rispetto a quello di investimenti più incentrati sul mercato e ciò rende l’investimento in equity poco attrattivo per gli investitori finanziari. I rischi associati agli asset infrastrutturali sono riconducibili a delle macro-categorie: - Rischi politici e regolatori, che fanno riferimento alla stabilità politica del Paese e della regione in cui l’asset è ubicato e alla complessità del quadro regolatorio. Ritardi nell’esperimento delle procedure delle gare di affidamento delle concessioni, diffusione di liti temerarie a danno della realizzazione delle opere, incertezza circa la durata della concessione e circa il valore di indennizzo finale, episodi di corruzione e pressioni politiche, l’elevato peso attribuito alla componente prezzo nelle formule di aggiudicazione degli appalti, l’infiltrazione della criminalità organizzata, elevati fenomeni di collusione nel mercato degli appalti e la frequenza delle turbative d'asta, inadeguatezza delle stazioni appaltanti, proliferare di bandi c.d. anomali; elevati costi accessori alla realizzazione delle opere (es. opere di mitigazione, espropri, ecc.); l’onerosità delle linee di finanziamento bancarie, il limitato ricorso a strumenti collocati sul mercato dei capitali e la ridotta partecipazione degli investitori istituzionali.
Gli asset regolati, d’altra parte, possono essere soggetti a cambiamenti inattesi del regime tariffario stabilito dal regolatore, con il rischio di generare disallineamenti rispetto alle valutazioni iniziali d’investimento. Gli investitori in infrastrutture dunque ritengono che il rischio regolatorio sia particolarmente elevato nella penisola iberica, in Italia e nel Regno Unito, a causa della mancanza di stabilità dei regimi. Inoltre da una recente Survey della Deloitte è emerso che oltre il 65% degli investitori prevede una regolamentazione più stringente nei prossimi cinque anni che avrà un impatto significativo sui rendimenti, ad esempio le modifiche retroattive agli incentivi fotovoltaici in Italia. Rischi macro - economici e finanziari che afferiscono all’evoluzione dello scenario economico, ovvero all’andamento di variabili finanziarie quali il tasso di interesse, il tasso di cambio e l’inflazione, e di variabili più legate alla domanda di mercato. Rischi operativi che riguardano tutti i fattori che possono influenzare la performance dell’asset in termini di quantità e qualità del servizio offerto: il rischio tecnologico, di obsolescenza dell’infrastruttura, e tutti i rischi che possono causare aumenti di costi operativi o minori performance rispetto alle attese. In aggiunta, un rischio operativo tipico dei progetti greenfield è il rischio di costruzione, Il rischio fiscale intrinsecamente legato ai rischi politico e regolatorio. Altro limite tipico è la ridotta liquidità, che limita le opportunità di exit degli investitori.
I rendimenti richiesti dagli investitori finanziari in infrastrutture si sono ridotti dal 14% al 10%.
L'Italia è caratterizzata da un indice di accessibilità a tale tipo di investimenti inferiore alla media dell'UE-15.
Riguardo all’attrattività degli investimenti in infrastrutture l’Italia risulta in generale non attrattiva per il quadro regolatorio (incerto), per la (cattiva) pianificazione preliminare e il ruolo degli stakeholders (talvolta d’ostacolo). Per quanto riguarda la partecipazione della PA al reperimento dei finanziamenti, gli investitori lamentano una limitata stabilità e affidabilità delle coperture finanziarie a sostegno dei progetti infrastrutturali nel bilancio dello Stato, risorse pubbliche non sempre sufficienti per sviluppare studi e progetti indipendenti, oltre che una scarsa preparazione dei funzionari pubblici in tema di finanziabilità in project financing. Proprio rispetto alla modalità di finanziamento dei progetti, la survey segnala un ritardo in Italia nell’applicazione delle tecniche di PPP e, in particolare, nell’allocazione dei rischi nei confronti degli investitori privati.
Infine, per chi investe in euro, un cambio flottante è un’incertezza in più.
In questo quadro il Sud è ancora più penalizzato perché esiste uno “spread” tra regione e regione a seconda di come funzionano i tribunali, della solvibilità degli enti locali, della disponibilità delle banche ad accompagnare l’investimento, dell’influenza della criminalità organizzata; delle contestazioni delle comunità locali. Infine, la “Global Alternatives Survey ”, che svolge indagini annuali, in collaborazione con il Financial Times, ha evidenziato asset classes (hedge fund, fondi immobiliari, private equity, fondi di fondi hedge, fondi infrastrutture, fondi di fondi di private equity, illiquid credit, commodities, real asset ed insurance) e sette tipologie di investitori, tra i quali i fondi pensione – e ha rivelato come fra i primi 100 gestori alternativi quelli real estate detengano la percentuale più elevata di attività gestite (34%), seguiti dai fondi hedge (21%), private equity (18%) e solo il 5% in infrastrutture.  È evidente dunque come per poter ricorrere a tale strategia di investimento sia necessario prima porre mano ad una programmazione e prioritizzazione degli investimenti e ciò richiede un tempo, una chiara visione della politica dei trasporti, a sua volta legata allo sviluppo economico (non solo industriale, si pensi solo al turismo) della Regione; una capacità di “resistenza” alle richieste che vengono dai localismi territoriali, dove si intrecciano desideri (legittimi) di dotazioni infrastrutturali e rifiuto di opere, pure necessarie; una seria, neutrale e rapida attività di valutazione degli interventi, partendo dalle analisi costi-benefici che permetta di capire quali opere possano dare un ritorno economico positivo, pur in assenza di un ritorno economico-finanziario sufficiente per i privati, giustificando così il contributo pubblico.  Ancorare lo sviluppo della Basilicata ad un numero così elevato di variabili è inammissibile».

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