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03.12.2025 - 10:25
La Sentenza n. 9474/2025 del Consiglio di Stato non è soltanto un colpo di scena giudiziario. È, prima di tutto, un tema politico. Una scossa che ha un epicentro in Fratelli d’Italia, il partito che ha consentito – e forse ignorato troppo a lungo – una competizione interna diventata un cortocircuito.
Nel merito la vicenda è nota: Donatella Merra e Alessandro Galella, entrambi esponenti dello stesso partito, si sono ritrovati a contendersi un seggio nelle regionali lucane. Una dinamica assurda per chiunque guardi la politica con realismo: due candidati della stessa forza politica arrivano ad un pareggio matematico (4.056 voti ciascuno) e finiscono sul piano inclinato dei ricorsi, dei contro-ricorsi e infine della revocazione davanti al Consiglio di Stato.
Che un partito di governo non sia riuscito a prevenire questa situazione – o non abbia voluto farlo – è un fatto politico prima ancora che amministrativo. A Potenza il Tar aveva chiuso la partita confermando Galella, forte del suo miglior posizionamento in lista (3° posto contro l’8° della Merra) come previsto dalla L.R. Basilicata 20/2018. Il Consiglio di Stato aveva avallato. Fine della storia? Nemmeno per sogno.
Il bravo avvocato Oreste Morcavallo, in rappresentanza di Donatella Merra, individua un errore di fatto nella sezione di Melfi e chiede la revocazione. E il Consiglio di Stato gli dà ragione e ordina una nuova istruttoria affidata al Prefetto di Potenza. In altre parole: la partita non è affatto chiusa e potrebbe ribaltarsi. Può vincere Merra o può restare in carica Galella. Ma c’è un fatto che sopravvive ad ogni futuro esito: una forza politica strutturata evita che due propri candidati, con avvocati al seguito, si sbranino davanti ai giudici, impedisce che una competizione interna degeneri in un contenzioso infinito e garantisce un processo di selezione coerente e ordinato. È il minimo sindacale. Invece il risultato è un’immagine di fragilità organizzativa, di tensioni sotterranee mai governate e di un partito che, nel pieno della sua fase ascendente, dimostra di non esser pronto alla sua dimensione nazionale a partire dalla costruzione delle liste come atto puramente aritmetico, più che politico.
La vicenda non riguarda solo il contenzioso elettorale. Riguarda la traiettoria politica di Donatella Merra: candidata con la Lega nel 2019, assessore regionale nella scorsa consiliatura, poi – all'ultima curva – approdata e candidata in Fratelli d’Italia, insieme ad altri profili non esattamente di matrice meloniana, come ad esempio Robortella.
FdI, nel tentativo di allargare i confini elettorali, ha imbarcato chiunque potesse portare un buon pacchetto di voti o dare fastidio in qualche precisa area geografica. Una strategia di corto respiro che oggi presenta il conto: candidati interni ed esterni, con storie e culture politiche divergenti, messi nella stessa lista come se fossero carte intercambiabili. Dall’altra parte c’è Alessandro Galella, figura storica del partito, uno di quelli che c’era quando FdI non era una corazzata nazionale, quando scommettere su Giorgia Meloni non sembrava una scelta vincente ma quasi un atto di fede. Una figura profondamente interna, organica, radicata. E infatti in lista era in posizione più alta, la terza. In altre parole: a prescindere dai protagonisti, il profilo politico “puro” del partito contro quello “acquisito” per necessità. Un conflitto che non è stato governato, ma lasciato esplodere. Una domanda lecita: Fratelli d’Italia è un partito identitario o un contenitore elettorale?
La sentenza del Consiglio di Stato riapre un capitolo tecnico, ma apre soprattutto un capitolo politico. Il tema Merra–Galella non riguarda solo un seggio. Riguarda l’identità stessa del partito. E rappresenta l’avvertimento più chiaro possibile:
FdI deve decidere chi è, prima che siano gli elettori a deciderlo al suo posto.
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