IL MATTINO
ultime notizie
08.11.2025 - 17:21
Nonostante i segnali positivi sul fronte occupazionale, il Mezzogiorno continua a mostrare il suo volto più fragile: più pensioni che lavoratori attivi. È quanto emerge dal nuovo rapporto del Centro studi della Cgia, che fotografa un’Italia sempre più anziana e disallineata, con il Sud che sprofonda in un paradosso economico e sociale: nel 2024 sono stati erogati 7,3 milioni di assegni pensionistici a fronte di soli 6,4 milioni di occupati. Un sorpasso che non lascia spazio a interpretazioni. La regione con lo squilibrio più marcato è la Puglia, dove il saldo negativo tra pensioni e lavoratori è di -231.700 unità. Seguono Calabria, Sicilia e Campania, tutte con numeri impietosi. Mentre nel resto del Paese la situazione resta più equilibrata – e in alcune regioni del Nord addirittura positiva – il Mezzogiorno conferma il suo storico ritardo strutturale. La Cgia segnala che nel 2024 il saldo tra occupati e pensionati è fortemente positivo in Lombardia (+803.180), Veneto (+395.338), Lazio (+377.868), Emilia Romagna (+227.710) e Toscana (+184.266). Un risultato dovuto alla crescita occupazionale degli ultimi anni, ma che rischia di non durare. Tra il 2025 e il 2029, infatti, oltre 3 milioni di italiani lasceranno il lavoro. Di questi, quasi i tre quarti (2,24 milioni) si trovano nelle regioni centro-settentrionali. Il problema, dunque, non è solo meridionale: l’Italia intera si avvia verso un lento ma costante invecchiamento produttivo. La maglia nera spetta a Lecce, dove ci sono 90.306 pensioni in più rispetto ai lavoratori attivi. Seguono Reggio Calabria (-86.977), Cosenza (-80.430), Taranto (-77.958) e Messina (-77.002). Numeri che raccontano di territori impoveriti, dove il lavoro formale è poco e l’assistenzialismo dilaga. La Cgia chiarisce che non si tratta solo di pensioni di vecchiaia, ma anche di un’alta incidenza di assegni assistenziali e di invalidità, in aree dove il tasso di occupazione è tra i più bassi d’Europa e il lavoro nero rimane endemico. La combinazione di questi fattori riduce il numero dei contribuenti attivi e ingrossa la platea dei percettori di welfare, con effetti devastanti sui conti pubblici. Non mancano le eccezioni. Matera, Pescara, Bari, Cagliari e Ragusa sono le uniche province del Mezzogiorno con un saldo positivo tra pensioni e lavoratori. Al Nord, invece, solo otto province – tra cui Genova, Savona, Ferrara e Alessandria – mostrano più pensionati che occupati. Nel complesso, 59 delle 107 province italiane riescono ancora a mantenere un equilibrio virtuoso, ma la tendenza è chiara: la forbice si allarga. Oltre al peso crescente delle pensioni, l’Italia deve fare i conti con un mercato del lavoro sempre più anziano. La Basilicata guida la classifica con l’indice di anzianità più elevato: 82,7 lavoratori over 55 ogni 100 under 35. Seguono Sardegna (82,2), Molise (81,2), Abruzzo (77,5) e Liguria (77,3). La media nazionale è del 65,2%, ma anche le regioni più dinamiche – come Emilia Romagna, Veneto e Lombardia – iniziano a mostrare segnali d’allarme. “Con sempre più pensionati e pochi giovani, la spesa pubblica è destinata a crescere e l’equilibrio dei conti pubblici è a rischio”, avverte la Cgia.
Per invertire la rotta, servono politiche mirate per ampliare la base occupazionale, far emergere il lavoro sommerso e aumentare l’occupazione femminile e giovanile, tra le più basse d’Europa. Perché se il Paese continuerà a produrre poco e a spendere tanto, il vero “assegno” in futuro sarà quello presentato alle prossime generazioni.
edizione digitale
Il Mattino di foggia