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Sergio Zavoli, la Notte della Repubblica e Anna Laura Braghetti

Sergio Zavoli, la Notte della Repubblica e Anna Laura Braghetti

La morte di Anna Laura Braghetti ha riportato alla ribalta della cronaca, la sua figura, e quella degli anni di piombo, che sono stati il periodo più cruento e controverso della storia dell'Italia Repubblicana.
Un periodo ancora troppo vicino e fresco per potere essere metabolizzato, e di cui proviamo a tracciare brevemente un ritratto, “utilizzando” la figura di Sergio Zavoli, che sugli anni di piombo ha curato per la Rai il più importante documento in nostro possesso, ancora fresco, tanto da poterne scrivere.


Sergio Zavoli: “il catto – socialista”

Sergio Zavoli “il catto-socialista”, è stato l'ultimo superstite di un' epoca che ha dato consistenza all’Italia, dal dopoguerra in poi, e quello che di lui ci resta è un patrimonio culturale intatto, a testimonianza dell’importanza di un mestiere, quello del cronista, necessario per dare forma al reale. Una cosa che oggi si perde nei mille rivoli della rete e che non aiuta a costruire una consapevolezza anche etica, morale nel lettore.
Basta e avanza questo per descrivere la semplice complessità di un uomo che si è interrogato per tutta la vita, e che faceva della sua capacità di osservare la realtà, in toto, il suo punto di forza, traendo linfa proprio da quella che era la sua identità politica, e da quel "catto-socialismo" che ha fatto fare all'Italia passi avanti e indietro, ma che lui aveva abbracciato con fede sincera, tanto da riuscire a dare a tutto ciò che faceva l'impronta della realtà. Un’impronta scevra da pregiudizi e da qualsiasi forma di manicheismo. Un'operazione non alla portata di tutti e che trova ne "La (sua) Notte della Repubblica” la forma più alta di estrinsecazione, e anche di riflessione sul mondo che ancora ci appartiene e di cui siamo imbevuti.
Era talmente dentro le cose, e al tempo in cui viveva, da cercare sempre il bandolo, oltre le facili classificazioni e anche le facili lottizzazioni.
Ciò che era non lo nascondeva, né questo gli impediva di agire, seguendo le sue linee guida: la ricostruzione maniacale e umana dei fatti, per restituire valore anche ai protagonisti, che fossero buoni o cattivi non era rilevante.
I giudizi di valore e di merito per lui non avevano conto, ma il suo operare andava anche oltre la facile isteria di una classe, quella dei giornalisti, cui apparteneva incontrovertibilmente, che oggi, come non mai, più che essere votata a raccontare la realtà sembra presa da un feroce protagonismo.
Per lui fare conoscere i fatti era di primaria importanza, perché è il fatto che permette alle coscienze di risvegliarsi, e consente ai lettori l'acquisizione di una consapevolezza, che abbatta una volta e per tutte le differenze culturali e di classe.
«Il mondo non è fatto di primi, vincitori e vincenti, ma di secondi, terzi, ultimi, di gente che arriva fuori tempo massimo pur sputando sangue ».
La TV per questa ragione era diventato il suo mezzo preferito, per la capacità che essa ha di avvincere lo spettatore, attraverso le storie, e di portarlo lontano dal proprio orticello di solitudine, di rancori, di false speranze e di aspettative negate.
Praticamente la sua Tv, il suo modo di intendere la Tv, era "il Villaggio Globale", senza il mercato, perché il mercato toglie freschezza e autenticità ai fatti, negandogli l'umanità dei piccoli centri, delle amicizie antiche, come la sua con Federico Fellini, facendo venire fuori la sciatta faciloneria che accompagna la mercificazione della notizia per le esigenze più varie.
Oggi che la TV generalista è diventata un vuoto contenitore che insegue in maniera raffazzonata il mercato, Sergio Zavoli, grazie alla sua lungimiranza e al fatto di non avere ceduto alle lusinghe degli applausi vuoti, a discapito della professionalità, rimane ancora e sempre lì, perché la cronaca quando riesce a raccontare i fatti, che diventano storie, si cristallizza e prende la forma e le sembianze della memoria, la magia vera e autentica del mestiere del giornalista.
Un grande merito per un cronista come lui che del suo mestiere conosceva ogni finezza, e anche ogni insidia e ogni astuzia.
Quello che ha fatto e che rimane mai è servito per incartare il pesce, né mai si è perso tra le strade, senza uscita, delle polemiche sterili, a costo di rimanere talvolta in silenzio e in disparte.
Non è semplice diventare dei monumenti da vivi, con la consapevolezza di tenere i piedi per terra fino all'ultimo, tanto da decidere di volere come "compagno di banco", anche dopo la vita, Federico Fellini.
Un'illusione forte la sua e che ci fa comprendere come le illusioni, come quella di credere di potere continuare a dialogare con chi ci è stato caro, possano sopravvivere alla mancanza di consistenza corporea, ma che questo dialogo possa continuare anche con chi lo seguiva attraverso tutto ciò che ha prodotto, e che tenacemente ha posto in salvo da vivo attraverso il suo lavoro.
Da vero "catto-socialista", senza cedimenti e senza paure.

La Notte delle Repubblica 

La notte della Repubblica di Sergio Zavoli è un documentario che esplora uno dei periodi più turbolenti e più significativi della storia politica italiana: quella degli anni di piombo. Il docufilm, in dodici puntate, realizzato nel 1991, si concentra sulle vicende che hanno caratterizzato il decennio compreso tra la fine degli anni '60 e gli anni '80, quando l'Italia è stata scossa da una serie di atti di terrorismo politico, manifestazioni di massa, lotte sociali e cambiamenti profondi nel tessuto sociale del paese.
Sergio Zavoli, uno dei più noti giornalisti italiani, ha realizzato un'opera che non è solo un racconto degli eventi, ma che è anche una riflessione sul senso di una Repubblica che stava attraversando una crisi di identità e di valori.
Il titolo stesso, “La notte della Repubblica”, evoca l'idea di un'epoca in cui la democrazia italiana sembrò vacillare sotto i colpi di violenze, omicidi politici e una profonda polarizzazione sociale e ideologica.

I temi principali del docufilm

Il docufilm si muove su queste direttrici e indaga: gli anni di piombo nella loro effettiva rilevanza; la crisi della democrazia; il ruolo assunto dai media in relazione agli accadimenti; le testimonianze di chi quel periodo ha vissuto.

Il lavoro nel suo insieme 

Il giornalista non risparmia nessuno, documenta le violenze politiche perpetrate sia dai gruppi di estrema sinistra sia da quelli di destra, i brigatisti e i neofascisti, e le tensioni che questi conflitti hanno alimentato.
Il periodo è segnato da attacchi terroristici, sequestri, e stragi, tra cui la strage di Piazza Fontana (1969), la strage di Brescia (1974), e l'omicidio di Aldo Moro (1978).
Il docufilm indaga su come la Repubblica Italiana, fondata sulla democrazia parlamentare e sui valori antifascisti, si fosse trovata a fronteggiare la crescente minaccia della violenza politica, che metteva a dura prova le istituzioni e la società civile. La paura e la diffidenza tra i cittadini creavano una "notte" in cui il futuro della democrazia italiana sembrava incerto.
Un altro aspetto cruciale dell’opera è il modo in cui i media raccontarono e interpretarono gli eventi. Zavoli, da grande giornalista quale era, esplora come la stampa e la televisione abbiano affrontato e talvolta amplificato la drammaticità della situazione, contribuendo a creare un clima di tensione e paura.
Il documentario si concentra anche sul ruolo del giornalismo nel cercare di fare chiarezza su una realtà frammentata e complessa.
Zavoli ha incluso interviste con protagonisti e testimoni di quel periodo, come politici, giornalisti, e anche persone che hanno vissuto da vicino le stragi e gli attentati. Queste testimonianze sono fondamentali per comprendere la mentalità e il contesto dell'epoca.
La Notte della Repubblica è un'opera che non solo racconta una parte importante della storia italiana, ma offre anche una riflessione profonda su come le istituzioni democratiche possono reagire di fronte a una crisi così profonda.
Il documentario si distingue per il suo approccio pacato ma incisivo, che evita sensazionalismi e cerca di mettere in luce la complessità degli eventi.
Il giornalista ci offre anche un'importante riflessione sulla memoria storica, mostrando come le cicatrici lasciate da quegli anni siano ancora visibili nel presente e come sia necessario fare i conti con il passato per costruire una società più solida e consapevole. Non si limita a descrivere il periodo, ma cerca di comprendere le radici profonde delle tensioni politiche e sociali che l'Italia ha vissuto.
In definitiva, “La Notte della Repubblica” è un documentario che va oltre la semplice cronaca storica per diventare un mezzo di riflessione collettiva, su come le vicende politiche influenzano le vite delle persone e sulle sfide della democrazia in tempi di crisi.
È un'opera imprescindibile per chi vuole capire meglio le dinamiche complesse e dolorose della storia recente italiana.

Anna Laura Braghetti 

Anna Laura Braghetti è stata una delle militanti delle BR, l'organizzazione terroristica di estrema sinistra, attiva in Italia soprattutto tra gli anni '70 e '80. La Braghetti è stata una figura importante all'interno dell'organizzazione , malgrado la giovanissima età o forse proprio per questa ragione perché da giovane le scelte sono totalizzati e a vita, come è stato per lei.
Nata nel 1951, è stata coinvolta nelle attività delle BR fin dall'inizio degli anni '70. Era una delle membri fondatrici di quella che sarebbe poi diventata una delle cellule più operative dell'organizzazione terroristica. La sua adesione al gruppo era legata a una forte ideologia marxista-leninista, con un impegno radicale nella lotta armata, contro quello che consideravano il "sistema capitalista" e lo Stato italiano.
Nel 1978, uno degli eventi che l'ha maggiormente legata alla storia dell'organizzazione è stato il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana. Fu coinvolta nel rapimento di Moro, una delle azioni più eclatanti e drammatiche della storia delle Brigate Rosse. Questo rapimento culminò con l'uccisione di Moro dopo 55 giorni di prigionia, e segnò uno degli episodi più violenti e controversi degli anni di piombo in Italia.
Fu arrestata nel 1981, e successivamente condannata per il suo ruolo in vari crimini, incluso l'omicidio Moro.
Dopo aver trascorso molti anni in prigione, nel 1999, è stata liberata grazie ad alcune disposizioni di legge italiane riguardo la condizionale per i detenuti. Durante il suo periodo in carcere, ha manifestato segni di pentimento, ma non ha mai completamente rinnegato le sue passate scelte politiche.
Nel corso degli anni, è stata una figura discussa anche per la sua amicizia con Francesca Mambro, con cui divideva la cella, la vita e un libro scritto a quattro mani su quegli anni, poi. Anche se avevano una diversa appartenenza politica, entrambe avevano scelto la lotta armata, senza rinnegarla.
La figura della Braghetti rimane simbolica del clima politico di quegli anni, segnato da un radicalismo estremo e dalla violenza.

Piccola nota personale 

Sono una ribelle e la lotta armata non è mai stata una mia prospettiva di vita, proprio perché ribellarmi è un fatto talmente logico, passatemi il termine, che ho sempre nutrito una certa insofferenza per le forme di lotta armata.
Le BR poi le ho vissute nel quotidiano, ma pure gli altri, rossi e neri impazzavano quando ero adolescente, e probabilmente avere osservato da piccola e da vicino la politica mi ha posto al riparo da scelte totalizzati.
In camera mia, sulla mensola libreria che ho in testa quando dormo c'è il libro di Patrizio Peci: "Io, l'infame". Un libro che lessi a suo tempo, e che mi chiarì un bel po' di cose, ma soprattutto mi fece rendere conto dell'assurdità di quel sistema di vita e di pensiero, in totale balia dell'improvvisazione, e sì erano improvvisati, armati e molto probabilmente manipolati, come da più parti è emerso in seguito.
In pratica, chiunque fosse stato ai margini della società, o avesse avuto una predisposizione all'inquadramento, sarebbe potuto diventare brigatista, e in buona parte è stato così.
Cose che accadono continuamente nella vita, quando si estremizza ogni cosa, ma anche quando si ha un'idea della libertà troppo poco rispettosa di quella degli altri.
La Braghetti l'ho pure incontrata a Roma, come ho incontrato Toni Negri e pure Pino Rauti, tutti e due a Napoli e in altri contesti, giusto per stabilire un'equità di colori. Nessuno di loro mi fece una bella impressione, erano anonimi, la Braghetti era anche estremamente giovane, e quando si è anonimi tutto diventa possibile perché si cerca la visibilità e la morte degli altri, se non l'hai mai guardata con serietà la morte, ti sembra poca roba.
E quindi quegli anni furono maledetti tra terrorismo, droga, stragi, al Paese non fu risparmiato niente.
Oggi la vita si autodelimita su i social, talvolta in maniera mediocre, spesso, però queste cose serve raccontarle altrimenti possiamo solo essere manichei. Ma la vita è più complessa di così e molti si perdono, non necessariamente nella lotta armata, oggi poi la vedo impossibile, anche non accettando i limiti di vita altrui, come è accaduto a chi si è trovato soldato dalla notte al giorno, per le ragioni più varie, come sempre accade.
Nel mentre Gianni Alemanno scrive il suo quotidiano diario di cella..

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