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Scalare l’Appennino è impresa faticosa

Scalare l’Appennino è impresa faticosa

Le parole del Savonarola dem Piero Lacorazza, affidate al palcoscenico virtuale di Facebook, suonano come una confessione più che come una rivendicazione: “Non è andato a tutti giù il mio ritorno in politica. E quando ero in politica mi dicevano ‘trovati un lavoro’. Poi sono uscito dalla politica e un lavoro me lo sono creato. Sono tornato in politica più libero di prima e non va bene il lavoro che mi sono creato e per il quale ho dovuto lasciare l’incarico da direttore di Fondazione Appennino, anche se non incompatibile”. Un post, l'ennesimo, che – nelle intenzioni – doveva essere un'arringa difensiva, ma che finisce per diventare quasi un autogol a porta vuota nonchè il termometro di un modo di intendere la politica. Lacorazza ammette, quasi con candore, che, verosimilmente, prima c'era la politica e non aveva un lavoro “vero”, che poi se n’è costruito uno e che oggi è “più libero di prima”. Libero da cosa, però? Dalle incompatibilità? Dai vincoli morali? Perché a leggere quelle righe, il dubbio sorge spontaneo: o la vocazione è stata così travolgente da spingerlo, dopo gli incarichi ricoperti tra Provincia e Regione, a candidarsi nuovamente nel 2024 e a lasciare l'appennino scalato con sudore e fatica, oppure quel mestiere “creato” non era poi questo capolavoro di realizzazione professionale. In ogni caso, una certezza resta: in Basilicata la politica è spesso un eterno ritorno, dove chi va e chi torna riesce sempre a restare al centro della scena, mentre i cittadini – quelli con un lavoro da difendere davvero – assistono da spettatori a questa recita infinita.

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