IL MATTINO
Libri
13.08.2025 - 15:13
L'ultimo libro di Vincenzo Gambardella dal titolo: “Dell’innato bene” è una raccolta di saggi sul tema del “bene” inteso come modalità etica. La scrittura in questa raccolta diventa un vettore di purificazione emozionale e di cura, sospesa com'è oltre il principio di realtà, in cui la dimensione emotiva e la tensione critica si intrecciano.
Il volume è suddiviso in quattro sezioni dal titolo:
1. Prendere il largo.
Questa sezione è introduttiva e programmatica. Gambardella apre riflettendo sullo scrivere come atto morale e spirituale. Il “bene innato” non è da intendersi come una certezza religiosa, ma come una possibilità interiore da cercare e custodire. I temi principali della sezione sono la spiritualità laica, l'etica della scrittura, l'intimità creativa, mentre emergono spunti psicoanalitici, soprattutto nella concezione della scrittura come atto di cura e di trasformazione del dolore in espressione.
2. Lettura delle Teofanie di Antonio Trucillo
Questa è la sezione centrale del saggio e più densamente critica.
L'autore legge e interpreta le “Teofanie” di Trucillo, poeta visionario e teoretico del sacro. Emerge un dialogo intimo, in cui lo scrittore si confronta con le apparizioni (“teofanie”) di Trucillo come momenti di rivelazione poetica.
Trucillo è visto come colui che ha dato voce a una sacralità dell’immanenza, ossia a una forma del sacro che si manifesta nei frammenti quotidiani, si prospetta così un'alleanza poetico-filosofica. Il testo non è solo analisi, ma co-poesia critica, in cui Gambardella cerca di rifare il cammino creativo di Trucillo dall’interno, con risonanze con Simone Weil, Maria Zambrano e con la teologia negativa, dove ciò che appare è sempre mediato da un’ombra del sacro, da un senso che non è immediatamente visibile ma evocato dalla parola come presenza luminosa oltre la realtà empirica.
3. Lettere ai poeti
Questa parte raccoglie testi che hanno la forma epistolare. Sono rivolti a poeti contemporanei o del passato, reali o immaginari. Gambardella si rivolge a loro come ad interlocutori necessari per tenere viva la fiamma del linguaggio, e condivide con loro riflessioni sull’arte, sulla sofferenza, sul tempo.
Qui la forma epistolare diventa una modalità di transfert, dove l’interlocutore permette di elaborare nodi interiori quali: il lutto, la perdita, la memoria, la resistenza della parola. Le lettere non sono solo intellettuali, ma emotive.
4. La scuola della velocità
Questa sezione è più sperimentale. L'autore riflette sulla rapidità del mondo contemporaneo, contrapponendovi un'idea di scrittura lenta, resistente, profondamente umana. Il titolo stesso richiama in modo ironico le logiche della produttività e del consumo applicate alla cultura, come la fretta e il rumore. Questo “rumore” è un chiaro meccanismo difensivo: serve a evitare l’ascolto delle proprie voci interne, che ritornano però sotto forma di disturbi, malessere, parole interrotte.
Tanto da considerare: la velocità come meccanismo difensivo (fuga dal trauma, evitamento); la lentezza come apertura al reale, all’inconscio.
In questo caso i richiami cultural sono a: Paul Virilio, Byung-Chul Han, ma anche a Lacan e a Bion, ben presenti nelle pieghe del testo.
La psicoanalisi non è un contenuto per Gambardella ma è una grammatica interiore.
E se nel pensiero freudiano, la sublimazione è il processo con cui l’energia pulsionale viene trasformata in attività culturalmente accettabili o elevate, come l’arte o la scrittura, in Gambardella, la scrittura assume una funzione catartica e quasi rituale, in cui le emozioni non risolte (lutto, malinconia, tensione affettiva) vengono elaborate simbolicamente.
“Scrivere è un atto che non placa, ma scioglie una tensione.”
Questo passaggio (in Prendere il largo) richiama la nozione di scrittura come lavorio del lutto.
L’intera raccolta è pervasa da riferimenti psicoanalitici impliciti: la scrittura come elaborazione del trauma e cura dell’anima. Il principio di realtà viene sospeso dalle “intermittenze del cuore”, dove l’emozione guida più della logica esplicita. La lente psicoanalitica emerge nelle lettere ai poeti, dove la memoria, il dolore si rinsaldano alla parola scritta.
Le Lettere agiscono proprio come scenografie di transfert. Ill poeta interpellato non è solo un interlocutore reale, ma uno specchio interno, un dispositivo emotivo per dire qualcosa di sé.
Come nella lettera a Antonio Trucillo:
“Scriverti è come confessare l’invisibile che mi tiene in vita.”
Qui il “tu” è una proiezione del “sé interiore”. La scrittura diventa seduta immaginaria.
Nato a Napoli (1955) e residente a Milano, Vincenzo Gambardella è un autore eclettico, curioso e autentico, per il quale la scrittura è principalmente un atto umano, un gioco, un divertimento, un incontro con la parola in tutta la sua intensità.
Prolifico e multidisciplinare, lavora attraverso romanzi, racconti, narrativa per ragazzi, testi teatrali, radiodrammi, saggi e perfino “prosimetri” poetico‑narrativi.
È fuori dai riflettori, lontano da mode, social media e strategie editoriali convenzionali, scrive quasi con una discrezione esemplare.
Autentico, non di “plot”, nel senso che il filo conduttore della sua scrittura è “l’essenza stessa della parola ed è il discorso poetico”.
Affascinato dalla poesia nella prosa, tanto che il suo lavoro ha un’anima poetica, anche quando non si tratta di poesia esplicita, tesa alla parola come forma estrema e viva .
È sensibile e umanissimo, emerge come una figura gentile, non rituale, che privilegia il contatto vivo con la scrittura e con la realtà, lontano da “maledizioni” della scrittura, ma attento a renderla compagnia.
È stato paragonato per la sua dedizione a Robert Walser, un autore solitario, capace, che aderisce con scrupolo al mestiere senza compromessi.
In sintesi Vincenzo Gambardella è uno scrittore versatile e riflessivo, che attraversa generi diversi senza mai cadere nella convenzione.
La sua scrittura è al tempo stesso prolifica, pensosa, poetica e umile, un’esperienza letteraria lontana dalla logica del mercato e vicina alla vita.
I suoi testi, apparsi in riviste come Nuovi Argomenti, clanDestino e altre, evidenziano uno stile intensamente immaginativo, dove la parola scritta cerca di veicolare un’esperienza emozionale e spirituale concreta.
Sul sito di Pangea compaiono diversi articoli firmati da Gambardella che fanno parte della raccolta, e non a caso nella pagina dei ringraziamenti del libro è citato Davide Brullo che di Pangea è il creatore.
Del resto Gambardella ha una capacità umana di coltivare rapporti ed amicizie nel senso più pieno del termine e la sua scrittura si nutre di questa fedeltà.
Quelli su Pangea sono saggi occasionali la cui modalità è epistolare.
Si tratta di saggi brevi su eventi personali, con una forte componente emotiva e riflessiva.
1 Gli articoli su Pangea: due esempi emblematici
“Ogni nome è trasparente. Lettera a Mattia Tarantino su poesia e salvezza” (ottobre 2024)
Lettera lirica e intensa a un poeta contemporaneo (Mattia Tarantino), in cui Gambardella parla di poesia come salvezza, esplora le metafore bibliche, il ritmo interno, le analogie visive e una sorta di canto cosmico capace di far “primo la poesia e poi il mondo”.
“Si tratta di rimanere nell’amore. Riflessioni sul mio trasloco” (maggio 2022)
Un testo autobiografico non solo sul cambiamento logico-spaziale, ma anche emotivo. Scatoloni come soglie di memoria, digiuno simbolico, nodi del passato che tornano.
La scrittura diventa lente emozionale, attesa che si annulla nell’incontro, riflessione del lutto più quotidiano.
Il linguaggio è lirico, critico, con una forte componente autobiografica, espansa, frammista a riflessioni etiche e utopie emotive.
Nel suo mondo, la scrittura è cura non medicalizzata ma poetica, gesto trasformativo che parte dalla mancanza e arriva a una forma di rivelazione.
Egli rifiuta l’interpretazione meccanica, ma accoglie il mistero, l’ambivalenza, l’irrazionale come parte costitutiva dell’essere umano.
Non solo nei contenuti, ma anche nella forma Gambardella lavora con modalità psicoanalitiche.
In lui la scrittura è ellittica e sospesa come accade con i sogni, che sono allusioni più che spiegazioni.
L'uso della seconda persona (“tu”) ci dice che il dialogo con l’altro è interiorizzato, come in una seduta, la lettera come forma prediletta invece favorisce il transfert e il dialogo emotivo, mentre il silenzio e la lentezza rappresentano gli spazi d’ascolto per l’inconscio.
Vincenzo Gambardella
Dell’innato bene.
Saggi
Genesi Editrice, giugno 2025
edizione digitale
I più letti
Il Mattino di foggia