IL MATTINO
L'inchiesta
02.07.2025 - 15:40
C’è una terra che non si vuole vendere. È cosa rara, di questi tempi. Si chiama Mauro l’uomo che dice no. Il terreno è suo e lui non lo cede. Non a qualunque prezzo, non cede nemmeno se a chiederlo è Antonio Liseno, imprenditore rampante, patron del San Barbato Resort & Spa, il gioiello extralusso incastonato tra le palme trapiantate a Lavello
Benvenuti a Lavello. Anno 2021. Qui prende forma un romanzo criminale con la grammatica della minaccia, il lessico dell’intimidazione, la punteggiatura del fuoco. Due episodi emergono come quadri di uno stesso affresco da incubo nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere Antonio Liseno. Due storie - diverse per ruolo e protagonisti, identiche per spirito - che raccontano molto più di un reato: raccontano un metodo.
Primo atto: il fuoco nella notte
C’è una terra che non si vuole vendere. È cosa rara, di questi tempi. Si chiama Mauro l’uomo che dice no. Il terreno è suo e lui non lo cede. Non a qualunque prezzo, non cede nemmeno se a chiederlo è Antonio Liseno, imprenditore rampante, patron del San Barbato Resort & Spa, il gioiello extralusso incastonato tra le palme trapiantate a Lavello. Liseno, ricostruiscono i magistrati, ha un piano: realizzare un campo da golf a completamento del resort. I terreni confinanti sono indispensabili. Mauro non vuole vendere. La risposta è netta. Ma nei dossier della Procura Antimafia di Potenza la vicenda non si chiude lì. Non è una trattativa fallita, ma un’escalation. Una notte, come nei peggiori racconti di vendetta, un fabbricato sul terreno di Mauro va in fiamme. Un avvertimento silenzioso. Nessun biglietto, solo cenere. Ed è in quel vuoto che entra il secondo protagonista di questa storia: Angelo Finiguerra. Il mediatore. L’uomo del secondo tempo. Il nome che per i magistrati sarebbe collegato ai clan Di Muro-Delli Gatti di Melfi e al gruppo Saracino-Cartagena di Cerignola. Mafia del Vulture, mafia foggiana. Finiguerra si sarebbe fatto avanti con nuove proposte d’acquisto. Mauro capisce. Non serve alzare la voce quando il passato di chi hai davanti parla da solo. Quando il silenzio sa farsi minaccia. Cede. Il terreno va alla SG S.p.A. di Liseno. Il campo da golf può attendere, ma intanto la regola è chiara: qui comanda chi è temuto, non chi ha il rogito.
Ma la storia si complica. E anche chi muove i fili rischia, in questo gioco pericoloso. Qualche mese dopo, nel giugno 2021, Antonio Liseno finisce dall’altra parte della barricata. Non è più il pressante acquirente, ma la vittima di un’estorsione feroce e raffinata. Il bersaglio è il suo Minimarket Stokkato, che secondo l'accusa batteva scontrini a vuoto per ripulire i soldi delle rapine ai portavalori. È notte fonda, ancora una volta. Un ordigno viene piazzato. Esplode. Un incendio avvolge il locale e lambisce l’agenzia assicurativa attigua, anche questa di Liseno. Non è una bravata. È il biglietto da visita della mala. Ma non basta. Dopo qualche giorno, all’agenzia arriva una telefonata anonima. Nessuna parola. Solo una marcia funebre in filodiffusione. Sottinteso sinistro. Poi, la richiesta: 20mila euro, cash. Un prezzo per la tranquillità. A muoversi, secondo la Procura, sono cinque uomini con curriculum criminale ben noto: Vito Gadaleta, Massimo Sileno, Filippo Tatò, Angelo e Antonio Capuano. Gente che si muove tra Barletta, Venosa e Lavello. Che conosce la geografia della paura. Che sa come si spreme un imprenditore. Liseno non paga. Non va nemmeno dalla polizia, a quanto risulta dagli atti. Fa un’altra scelta: chiama ancora lui, Finiguerra. Lo stesso della notte dell’incendio. Quello che parlava con i clan. E Finiguerra risolve. Blocca l’estorsione. Non con la legge, ma con il richiamo della reputazione.
Il metodo e il contesto
Non è solo l'accusa di mafia a rendere inquietanti queste due storie. È il contesto. Il silenzio che le avvolge. Lavello è il luogo dove si può far bruciare un capannone senza che nessuno parli. Dove un attentato esplosivo resta un fatto tra pochi. Dove la paura assume forme moderne, imprenditoriali. Non serve più la pistola. Basta il curriculum criminale di chi ti chiama. Basta il passato di chi fa la proposta. Imprenditori, prestanome, mediatori e uomini vicini ai clan si toccano, si aiutano, si usano. Dove l’hotel a cinque stelle può convivere con la tanica di benzina. E dove persino l’estorsione diventa occasione per rafforzare legami, regolare conti, mostrare il proprio peso specifico nella gerarchia del potere.
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