IL MATTINO
Cultura
02.05.2025 - 15:03
La Storia non è maestra di vita, tutto ciò che sta accadendo a livello internazionale lo dimostra, perché come ci insegna Giambattista Vico esistono "i corsi e ricorsi", a cui l'umanità non è preparata, per quanto possa sembrare paradossale. Il ruolo degli storici diventa così fondamentale, per mettere ordine e per andare oltre le contrapposizioni consuete.
E visto che malgrado il mondo sia cambiato e globalizzato, parcellizzandosi, ancora si tende a ragionare per contrapposizioni ideologiche talvolta spicciole, allora un' intervista ad uno storico non proprio in linea con il mainstream, Alexander Höbel, ci sta, giusto per capire a che punto della notte siamo.
Partiamo da una domanda che oggi mi sembra sempre più difficile da evadere: "Cosa vuol dire studiare la Storia?"
Direi che studiare la Storia vuol dire addentrarsi tra alcuni elementi costitutivi della vicenda umana, alcune dinamiche che ricorrono nei secoli, presentandosi in forme diverse ma costituendo dei fattori ricorrenti e dunque profondamente legati alla “natura umana” – che è essa stessa anche un prodotto storico – e al rapporto degli esseri umani con l’ambiente: le dinamiche di potere, di sopraffazione, di appropriazione, di esclusione, e dall’altra parte quelle di cooperazione, di mutuo aiuto, di rivolta. Insomma, un divenire continuo, nel quale gli esseri umani danno il meglio e il peggio di sé stessi, e in cui comunque il cambiamento è costante e inarrestabile. La Storia insomma è fondamentale per riflettere sulla condizione umana.
Accanto a questi elementi “universali”, vi sono poi quelli particolari, che ci aiutano a comprendere la peculiarità di una vicenda specifica: quella del paese in cui viviamo, dei suoi “caratteri fondamentali”; quelli della nostra città, o della nostra epoca. In questo senso la storia aiuta a orientarsi: è una bussola fondamentale per capire non solo da dove veniamo, ma anche dove ci troviamo esattamente.
Perché il comunismo, che in Europa è stata una importante rivoluzione culturale, viene percepito ancora oggi come qualcosa di sbagliato?
Innanzitutto direi che il comunismo non è stato solo una rivoluzione culturale, ma un movimento politico che ha contribuito a produrre dei cambiamenti fondamentali sul terreno sociale e su quello dei diritti. Pensiamo alla costruzione del Welfare State, o all’estensione del diritto di voto fino al suffragio universale (garantito tra i primi paesi, col voto alle donne, dalla Russia sovietica), all’allargarsi della partecipazione politica, al nuovo ruolo dello Stato nell’economia: tutti mutamenti essenziali che – Hobsbawm nel "Secolo breve" lo sottolinea con forza – hanno una delle loro matrici proprio nell’esistenza di quel grande movimento politico e di Stati che ad esso si richiamavano.
Naturalmente, queste esperienze, che si svilupparono in una condizione di isolamento e accerchiamento, vissero anche dinamiche di militarizzazione della società e di forte centralizzazione del potere, con gravi torsioni autoritarie e – come scrive Losurdo – una normalizzazione dello “stato d’eccezione”, che ebbero a loro volta molti effetti negativi. Il punto è che, delle due facce della medaglia – il mutamento di classi al potere coi lavoratori per la prima volta protagonisti e il restringimento degli spazi di libertà all’interno della “fortezza assediata”, l’aspetto emancipatore a livello globale e gli anni del “grande terrore” –, soprattutto a partire dal 1989 si è enfatizzato solo il lato negativo, tacendo ciò che di importante e di progressivo il comunismo aveva prodotto, fino a disegnarne un’immagine stereotipata e caricaturale che non corrisponde alla realtà storica.
I manuali di Storia negli anni '70 avevano due fondamenti differenze, esistevano quelli di matrice cattolica, De Rosa per intenderci, e quelli di matrice marxista, Salvadori, Comba e Ricuperati. Oggi cosa resta di quel mondo, ma soprattutto che Storia ci raccontano?
Aggiungerei che c’era anche la lettura laica della Storia, quella dei Salvatorelli, Romeo, dei Galasso. Certamente l’interpretazione marxista aveva non solo una sua legittimità, ma un forte rilievo; per una certa fase, anche una sua egemonia. Oggi quella egemonia è stata del tutto ribaltata: anche sul piano storiografico, e più ancora nella manualistica, prevale un “pensiero unico”, in cui la koiné sembra essere l’anticomunismo più che l’antifascismo. Alcune risoluzioni approvate dal Parlamento europeo, nel 2019 e più di recente nel gennaio 2025, confondendo tutto sotto la categoria di “totalitarismo”, vanno esattamente in tale direzione e sembrano voler imporre una lettura “ufficiale” della storia del Novecento, molto discutibile nel merito e preoccupante per il metodo. In questo quadro quella che viene raccontata è perlopiù una parte della storia, o se vogliamo la storia da un preciso punto di vista, che certamente non è quello dei “subalterni”.
Se dovessi spiegare in due righe la nascita del Muro di Berlino e la sua caduta come lo racconteresti?
Direi che nel mondo della guerra fredda i due blocchi avevano l’esigenza di segnare i rispettivi confini. In particolare, questo valeva per il blocco orientale, visto che le frontiere emerse dalla guerra e l’esistenza di due Germanie non erano state da tutti riconosciute. D’altra parte, i tedesco-orientali, oltre all’ “effetto vetrina” di Berlino ovest e alla capacità attrattiva di un’economia più sviluppata, temevano una “infiltrazione” di uomini dell’intelligence occidentale, di materiale di propaganda, armi, volti a destabilizzare il paese; decisero quindi la costruzione del “muro”. Fu dunque un chiaro effetto della guerra fredda e dei timori che la parte più debole, innanzitutto sul piano economico, aveva. Nel 1989 si ebbe poi non tanto il “crollo”, quanto l’apertura del muro di Berlino da parte delle stesse autorità della Ddr, che raccolsero così la pressione popolare in tal senso. E tuttavia questo non preluse alla costruzione di un mondo pacificato e cooperante, ma alla costruzione di una nuova egemonia, capitalistica e atlantica, sull’Europa orientale, con le basi Nato che sono giunte fino ai confini della Russia – il che ha contribuito non poco a esacerbare la situazione, fino al conflitto tra Russia e Ucraina – e si avvicinano alla Cina. Lo stesso Papa Francesco è stato esplicito in tal senso, lavorando instancabilmente per ridare voce alla politica e alla diplomazia; il che era poi quanto, a suo tempo, rivendicava il segretario del PCI Enrico Berlinguer.
E di Marx che cosa mi dici?
In effetti, dopo anni di oscuramento all’insegna dello slogan della “fine delle ideologie”, l’attenzione verso Marx e il suo pensiero è tornata a riaccendersi, innanzitutto per effetto della crisi economica internazionale iniziata nel 2007, ma anche per la crescente consapevolezza della insostenibilità di un modello di sviluppo come quello capitalistico, volto alla produzione e al consumo illimitati di merci in un mondo finito, in cui spazi e risorse non sono certo inesauribili. Anche la tendenza alla polarizzazione sociale preconizzata da Marx è tornata a manifestarsi in modo eclatante, dopo le grande conquiste dei “trent’anni gloriosi” del secondo dopoguerra e con la crisi del “compromesso socialdemocratico” allora raggiunto: non a caso, accanto alle ricerche di Thomas Piketty, che col suo Capitale nel XXI secolo ha messo in luce i crescenti divari nei redditi, movimenti come Occupy Wall Street avevano puntato il dito contro la divaricazione tra il 99% dell’umanità e un 1% di privilegiati, quella che Leslie Sklair e Luciano Gallino definiscono “classe capitalistica transnazionale”. Il che significa che, anche in termini di potere, i lavoratori sono messi ai margini, e dunque c’è un problema anche di tipo democratico.
Gli elementi critici su cui riflettere e le cose da cambiare, dunque, non mancano. L’idea del divenire storico e la convinzione che la storia non sia mai finita possono dare maggiore forza a questa spinta per la costruzione di diversi assetti sociali ed economici, di un modello di società alternativo, più giusto, razionale e umano rispetto a quello capitalistico.
Alexander Höbel
Professore associato di Storia contemporanea all'Università di Sassari, è componente del Comitato editoriale della rivista Studi Storici e della redazione romana di Historia Magistra, direttore di Marxismo oggi online e presidente di “Futura Umanità. Associazione per la storia e la memoria del PCI”.
È autore dei libri Il Pci di Luigi Longo (1964-1969) (Edizioni scientifiche italiane 2010) e Luigi Longo, una vita partigiana (1900-1945) (Carocci 2013) e di numerosi saggi sulla storia del movimento operaio, del comunismo e dell'Italia contemporanea. Ha curato vari volumi, tra i quali Enrico Berlinguer, La pace al primo posto. Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984) (Donzelli 2023).
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