IL MATTINO
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18.09.2017 - 00:32
L'avventura umana e professionale di Giuseppe Blasotta ha dello straordinario. Nella romantica città tedesca, sede della più antica Università della Germania, si dedica prevalentemente alla pittura a olio, elaborando uno stile che ha visto negli anni evoluzioni originali, tanto nella dimensione dei colori quanto in quella dei soggetti. Una evoluzione incentivata perfino dal filosofo Hans-Georg Gadamer che, inaugurando una mostra di Blasotta nel 1999, disse apertamente al giovane artista: “Lei deve osare di più”.
L’esortazione fu infatti profetica poiché il giovane artista nel corso degli anni si è conquistato una affermazione rilevante, esponendo in diverse città della Germania, a Parigi e dal 2013 ripetutamente a New York. I suoi lavori sono stati acquistati da collezionisti tedeschi, francesi e americani; altri lavori sono esposti a New York (Ethan Cohen Fine Art) e in diverse istituzioni e chiese della Germania (come per esempio nella cattedrale di Limburg a.d. Lahn). Blasotta può contare recensioni su giornali come il Frankfurter Allgemeine Zeitung. Le relazioni internazionali che egli, a diversi livelli, ha costruito in questi anni grazie alla sua attività di pittore gli hanno consentito di accrescere il suo orizzonte culturale. All’arte di Giuseppe Blasotta si legano, forse indissolubilmente, due passioni: la musica e la filosofia. Queste due attività confluiscono in un’espressione complementare di colori e immagini. Blasotta oggi ha ripreso lo studio della filosofia nell’università di Heidelberg e approfondisce in particolare il pensiero del cosiddetto Neoplatonismo, soprattutto di Plotino e Porfirio e del filosofo tedesco G.W.F. Hegel. Blasotta continua oggi a dipingere e a esporre come pittore innovativo in una Heidelberg “vetero-romantica” e in una Germania “post-idealista”. L’esposizione personale nella Sala Grigia del Palazzetto dell’Arte di Foggia segna il primo ritorno di Blasotta in Italia con una mostra importante proprio nella città che gli diede i natali. “Da Foggia a Heidelberg”, come enuncia il titolo dell’esposizione, ma quindi anche da Heidelberg a Foggia come ritorno nel luogo d’origine con i risultati del lavoro di un ventennio.
UN PITTORE ITALIANO AD HEIDELBERG
di Erik Jayme (professore emerito di Diritto internazionale privato dell’Università di Heidelberg). Traduzione dal tedesco di Antonio Staude
L’Italia. Guardando all’opera pittorica di Giuseppe Blasotta in un’ottica retrospettiva, essa – pur nella suavarietà – si contraddistingue per alcune costanti inconfondibili, inerenti all’abbinamento dei sensuali ardori di colori e forme del paese originario dell’artista –l’Italia– con un mondo del pensiero legato alla sua città d’adozione, Heidelberg,ovveroalla storia dell’arte e della filosofia heidelberghese. Nonostante la diversità dei temi pittorici, è sempre possibilecostatareil ricorso ai modelli classici dell’arte italiana. Incontriamo, infatti, superfici dipinte a mosaico, corone luminose e campi di colore simili a vetri colorati che fanno pensare all’arte ravennate o alle Madonne giottesche. Questo vale soprattutto per la sua pittura religiosa, che per invero costituisce soltanto uno dei fulcri delle sue opere. Anche i ritratti, medianteil linguaggio delle forme, risultano affini alle icone sacre italiane, e tuttavia si estendono interamenteinsuperficie, rifacendosi allo stile bizantino piuttosto chea quello barocco. Ora, volendo ricordareun esempio di arte moderna, sipensi ai quadridi Georges Rouault che però sono più malinconicie più cupi.Si aggiungono, rispetto ad essi, elementi ornamentali ispirati agli antichi mosaici dell’Italia meridionale, come al mosaico pavimentale della Cattedrale dell’Annunziata di Otranto, dove dominano longilinee strutture vegetabili che tendono a rendersi indipendenti, frammistea formedi animali e creature fiabesche. Dall’Italia gli viene l’ardore dei colori, l’intera gamma dei rossi, il vermiglione, l’arancione e un giallo chiaro, ma anche certe rifrazioni tendenti all’ocra e alle gradazioni di marrone. Si tratta sempre di tonalità naturali che permettono ai quadri di irradiare luce dal loro interno: espressività senza violenza, sentimento senza amarezza. Contemplando queste opere è necessario ricorrere a termini come “armonia”, “equilibrio”e “misura”. Questo vale soprattutto per le nature morte che s’imprimono nella memoria come delle celebrazioni del colore, che vanno dal giallo opaco all’arancio cognac, con i contorni degli oggetti in un violetto che ricorda le fioriture tardo estive di malva.Ovviamente nei lavori di Blasotta incontriamo anche deformazioni e figurazioni fantastiche: i cosiddetti“mostri”, talvolta denominati semplicemente “corpi”. Queste figure rispecchiano il suo cimentarsi in un dialogo con la tradizione letteraria e, soprattutto, con l’“Inferno” della “Divina Commedia” di Dante.
Heidelberg. Il secondoelemento della sua arte è quello “heidelberghese”. Nell’intentodicaratterizzare i grandi pittori legati alla città di Heidelberg – dai fratelli Carl Philipp e Daniel Fohr ai fratelli Ernst e Bernhard Fries fino a Wilhelm Trübner,Adolf Hacker e Will Sohl– al di là di ogni indole romantica ci s’imbatte in un interesse fondamentale per la comprensione della realtà. InBlasotta riscontriamo innanzitutto una predilezione per alcuni edifici tipici della città: la Chiesa dello Spirito Santo, la Chiesa dei Gesuiti come anche il Palazzo Municipale. Tra questi, ovviamente, non manca nemmeno il Castello di Heidelberg, simbolo dell’antica capitale del Palatinato che egli ha dipinto più volte. Le strutture architettoniche vengono dissoltea favore di formee tratti di pennello perfino ariosi, per esserequindiricomposte. L’edificio, tuttavia, resta sempre riconoscibile nel suoaspetto individuale; viene soltanto mutato in un’immagine interiore.Quel che si vede rappresentatoèun dialogo con la realtà, un andirivieni di sguardi tra realtà e impressioni; in una parola: siamo testimonidi una sorta di “second life” degli edifici storici. L’accostamento di Blasotta all’ermeneutica filosofica professata a Heidelberg ha lasciato tracce eloquenti nei suoi dialoghi pittorici, come del resto l’era digitale che stiamo attraversando:quel mondo fatto di segni di immagini e pittogrammi le cui semplificazioni si sono confuse in un linguaggio pittorico autonomo.
Foggia – Torino – Heidelberg – legami con il postmoderno Come spiegare questo legame tra l’Italia e Heidelberg? Giuseppe Blasottanasce nel 1972 a Foggia, in Puglia, o meglio in terra normanna e sveva. Lucera, la città di Manfredi, è poco distante. “Tancredi” è il titolo di uno dei suoi ritratti. Il nome normanno – Tancredi d’Altavilla, Conte di Lecce fu l’ultimo rampollo dei sovrani di Sicilia appartenenti al Casato degli Altavilla. “Tancredi” però, al contempo, è anche un personaggio letterario nella “Gerusalemme liberata” del Tasso, nonché protagonista dell’omonimo melodramma eroico di Gioachino Rossini. E passiamodunque alla musica. Foggia ha dato i natali a un grandissimo compositore d’opera del verismo, Umberto Giordano; il suo “Andrea Chenier” appartiene ai lavori preferiti della letteratura operistica. L’amore di Blasotta per la musica,in modo particolare per l’opera lirica, gli ha ispirato numerosi soggetti di personaggi operistici, come per esempioTamino del “Flauto magico” o Ruggero dell’“Alcina” di Händel. Inoltre ha dedicatoun quadro tematico anche a un’opera intera: il“Flauto magico” di Mozart. Il carattere narrativo della sua pittura rispecchia l’aderenza dell’artista al pensiero postmoderno. Atale contesto appartengonopure le didascalie che, come per “verdi prati, selve amene”, sono tratte dalle arie dei personaggi operistici rappresentati. Esistono anche tele incentrate unicamente sulla scrittura, coperte da pagine di diario che trattano dei miti privati della sua vita, tra i quali spicca l’impatto con Heidelberg. Un ulteriore tratto postmoderno è la distanza che lo separa dal “dogma dell’astrazione” al quale aveva aderito la pittura moderna.Il punto di partenza resta sempre l’oggetto, che non viene rinnegato, soltanto variato. La pittura del nostro artista è figurativa, e figurativa rimane. Blasotta non iniziò a dipingere che all’età di sedici anni. Da Foggia si trasferì a Torino, dove in un atelierdi pittura imparò il mestiere. In seguito si rivolse alla filosofia e, nel 1994, giunse a Heidelberg, in qualità di studente Erasmus dell’Università degli Studi di Torino, con l’idea di cimentarsi negli studi di filosofia. All’inizio del suo soggiorno heidelberghese oscillava tra lo studio delle materie letterarie e la pittura, optando infine per quest’ultima. A imporsi fu dunque l’artista. Il successo, che non si fece attendere a lungo, gli da tutt’oggi ragione. Questo vale soprattutto per i dipinti religiosi che sono esposti in diverse chiese. Una sua Via Crucis dipintasi trova nella cattedrale di Limburg. Per contro, anche i suoi paesaggi e i ritratti hanno suscitato grande interesse e sono stati esposti all’estero in svariate occasioni, per esempio a Parigi, Bruxelles, Linz e New York. Anch’egli, come ogni vero artista, ha attraversato unacrisi creativa, nella quale ha tagliato a pezzetti alcune delle sue opere. Successivamente, tuttavia, le ha ricomposte su un supporto in legno e ci ha dipinto sopra. Tali lavorisono permeati da una particolare insistenza e profondità, dal momento che i resti dei quadri distrutti, quasi come le scritte in un palinsesto, ritornano percettibili. Al contempo, il quadro all’interno del quadro presenta una valenza filosofica, uno sdoppiamento. “Utroqueclarescerepulchrum”: questo motto del principe di Moldavia MihailSturdza, un nobile rumeno dell’Ottocento, tradotto liberamente significa: “In entrambi i modi risplenda il bello”.
Tecniche e materiali Per quel che riguarda le tecniche, i supporti cambiano:tela, carta, cartoncino, legno. Ognuno di questi sfondi è trattato diversamente. Alquanto singolari sono le sue “tele graffettate” nelle quali, per l’appunto, vengono ricomposti e ridipinti i quadrispezzettati di un periodo precedente. Giuseppe Blasotta dipinge a olio, oppure impiega i gessetti su acrilico per ottenere quadri di pastello. Alcune forme sono soltanto abbozzate, quasi dei lampi scagliati sulla tela. In altri lavori risulta manifesto, quanto elaborata sia la raffigurazione. Come i colori della sua tavolozza, così anche le tecniche sono molteplici, ed è sempre presente una gioia di osare e sperimentare qualcosa di nuovo.
Una pittura “filosofica” Con ciò il cerchio si chiude: vanno a confondersi lo studio della filosofia e la prassi della pittura. Quel che interessa Blasotta sono cognizioni nuove. E noi siamo assai contenti che egli ci renda partecipi di questi suoi mondi.
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