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L'intervista

In fondo "Morire non importa": parola di Lorenzo Coltellacci

Il nuovo graphic novel firmato da Lorenzo Coltellacci e illustrato da Mattia Tassaro, ci porta nel cuore pulsante del dark britannico, tra le atmosfere cupe e visionarie che hanno reso la band di Robert Smith un’icona senza tempo.

In questa intervista, l’autore che lo scorso anno è stato anche tra gli ospiti del Festival del Nerd di Foggia, racconta com’è nato il progetto, il processo creativo alle spalle della sceneggiatura e il legame profondo tra musica e fumetto.

“Morire non importa. The Cure: le radici del mito” Feltrinelli Comics, il nuovo graphic novel firmato da Lorenzo Coltellacci e illustrato da Mattia Tassaro, ci porta nel cuore pulsante del dark britannico, tra le atmosfere cupe e visionarie che hanno reso la band di Robert Smith un’icona senza tempo. Frutto di un lavoro meticoloso e appassionato, il progetto si concentra su un triennio cruciale — dal 1980 al 1982 — in cui i Cure ridefinirono l’immaginario musicale e visivo dell’epoca. In questa intervista, l’autore che lo scorso anno è stato anche tra gli ospiti del Festival del Nerd di Foggia, racconta com’è nato il progetto, il processo creativo alle spalle della sceneggiatura e il legame profondo tra musica e fumetto.

Come nasce l’idea di raccontare i The Cure attraverso un graphic novel?
Diciamo che io e Mattia ne abbiamo parlato con Feltrinelli Comics. Siccome È mia la colpa. La vita dei Joy Division è stato accolto molto bene, ci siamo confrontati anche con Tito Faraci, e raccontare i Cure ci è sembrato un naturale seguito spirituale. Un sequel, ma anche uno spin-off. Una storia a sé, per raccontare il disagio e il tormento della musica di quegli anni. Parliamo di band che hanno creato movimenti e immaginari fortissimi, diventando pionieri non solo dal punto di vista musicale, ma anche estetico.

Che stile hai usato?
Volevo scostarmi da quello che ho fatto per i Joy Division. In quel caso, la narrazione era strutturata in piccoli episodi che componevano la loro vita. Con i Cure, invece, ho scelto di concentrarmi su un arco temporale preciso: tre anni, dal 1980 al 1982, in cui è successo di tutto e sono usciti dischi clamorosi. Un periodo fondamentale per il movimento dark, sia musicalmente che filosoficamente.

Com'è stato lavorare con Mattia Tassaro e come si è sviluppata la vostra collaborazione?

Con Mattia era quasi scontato proseguire. Ci siamo trovati benissimo a lavorare insieme sul graphic novel dei Joy Division — e non è così scontato. Oltre alla sua bravura indiscussa nel disegnare, c’è anche un aspetto umano: è incredibilmente professionale, non manca mai una scadenza. Questo crea fiducia e rende tutto più fluido.

Quanto la musica influisce sul tuo modo di scrivere fumetti? Parti dal suono, dalle parole o dalle immagini?
Dipende. Quando scrivo libri come questi, ascolto i gruppi di cui sto parlando per entrare nel loro mondo e nelle atmosfere. Spazio parecchio: ascolto anche molta musica italiana, soprattutto quella più classica. Poi ovviamente le grandi band inglesi e americane, e anche gruppi come i Killers. La musica è sempre presente nel mio processo creativo.

Come ti sei documentato per la stesura della sceneggiatura?
La documentazione è fondamentale per come vivo io queste biografie. È il primo step del mio modo di scrivere. Ho letto tutti i libri più autorevoli, sia in italiano che in inglese. Ho
guardato video, interviste, letto articoli online… Poi inizio a prendere appunti a matita, che mi servono per creare una sorta di mappa concettuale. Da lì costruisco la mia storia della band.

Quanto tempo ci avete messo tu e Mattia a concludere tutto il lavoro?
Abbiamo iniziato a luglio dell’anno scorso e consegnato tutto a febbraio. Io ho impiegato circa tre mesi tra documentazione e sceneggiatura.

Cosa ti ha colpito di Robert Smith?
La sua caparbietà. La sua voglia di fare. Nonostante i continui cambi di formazione, lui è sempre stato il perno dei Cure. In un certo senso, lui è i Cure. Questa fedeltà alla sua visione iniziale mi affascina. E poi sì, è un visionario a tutti gli effetti.

Cosa rappresentano per te i The Cure a livello personale? Hai un album o una canzone che ti ha segnato in modo particolare?
A Forest continua ad avere un posto speciale. È la prima che mi viene in mente. Ha una potenza evocativa pazzesca, come quasi tutte le loro canzoni. I Cure hanno segnato una vera evoluzione nel mio percorso musicale personale.

Quali novità hai in cantiere?
Siamo in fase di brainstorming per il terzo capitolo della trilogia, ma non posso ancora anticipare nulla

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