IL MATTINO
L'intervista
29.09.2024 - 10:48
Nato a Casale Monferrato il 7 agosto del 1965, ha frequentato la Scuola del Fumetto di Milano. Nel 1989 propone ad Alfredo Castelli un soggetto per Martin Mystère che viene approvato e diviene la sua prima storia pubblicata, "Aria di Baker Street" e "I mondi impossibili di Sherlock Holmes".
Carlo continua a scrivere sceneggiature e dal 1995 sostituisce Federico Memola quale redattore alla Sergio Bonelli Editore, lavorando a stretto contatto con Castelli. Realizza storie per la serie spin-off Storie da Altrove. Ha vinto il Premio Italia per la fantascienza nella categoria “Operatore Artistico” nel 2007, nel 2011 e nel 2014.
Carlo, come inizia il tuo percorso professionale nel mondo del fumetto?
Nel 1989, due anni dopo essermi diplomato alla Scuola del Fumetto di Milano, mi recai all’agenzia Epierre di Gianni Bono, dove conobbi Alfredo Castelli. Avevo letto su “Fumo di China” che in quel periodo stava mettendo in piedi “Zona X”, testata spin-off di Martin Mystère, e andai lì allo sbaraglio, senza appuntamento, con una notevole dose di incoscienza. Fui fortunato, Castelli mi accolse immediatamente e ascoltò; come compresi poi in seguito, Alfredo era sempre gentile con tutti e aveva il dono di far sentire tutte le persone speciali. Purtroppo ero giunto tardi per inserirmi nello staff di “Zona X” (che comunque vide la luce un po’ più avanti), ma c’erano opportunità per Martin Mystère, e le colsi al volo.
Ti ricordi il primo albo che hai realizzato per Martin?
Si chiama “Aria di Baker Street”, una storia doppia disegnata da Franco Devescovi. Una storia in cui Martin, Diana e Java sono a Londra per partecipare a un raduno di fan di Sherlock Holmes, nel corso della quale il padrone di casa viene misteriosamente ucciso poco prima di presentare un manoscritto inedito con una nuova avventura del grande detective. E’ l’inizio così di un vero e proprio “giallo” che naturalmente si tinge subito di “mystero”, tra realtà e fantasia. Sherlock Holmes è uno dei miei personaggi preferiti, una passione che condividevo con Castelli. Infatti negli anni settanta, quando scriveva le storie de “Gli Aristocratici “ per il “Corriere dei Ragazzi” aveva realizzato un’avventura in cui i protagonisti incontravano proprio il grande investigatore. E a quella storia (che avevo letto da bambino e mi era rimasta impressa) mi ricollegai io per scrivere la mia. Un innesto di continuity e al tempo stesso un omaggio. Quando proposi ad Alfredo il soggetto gli piacque subito, e lui mi dette due alternative: venderglielo, e l’avrebbe sceneggiato lui, oppure sceneggiarlo io. Volli sceneggiarlo io, malgrado non avessi mai provato fino ad allora a scrivere un’avventura di 188 pagine, ma, come ho detto, ero giovane e incosciente, e mi misi alla prova. Riuscii e mi venne chiesto di continuare a collaborare. Era come passare a giocare subito in serie A provenendo dal settore dilettanti!
Qual è il tuo rapporto con i disegnatori?
Diciamo che varia a seconda del disegnatore con cui si sta lavorando. Tendo ad essere preciso nelle descrizioni, al limite della pedanteria. A volte può succedere che per maggiore chiarezza faccia degli schizzi che allego alla sceneggiatura. Ma con i disegnatori che conosco posso essere anche molto sintetico perché so già cosa aspettarmi; anzi, mentre scrivo immagino già nella mia testa come lui/ lei disegnerà la scena.
Quali sono i tuoi miti nel fumetto?
Tanti. Alfredo Castelli e Tiziano Sclavi, prima di tutto. E al di fuori dell’Italia, Stan Lee e Chester Gould (l’autore di “Dick Tracy”, il mio fumetto preferito in assoluto). Ma sono cresciuto con Max Bunker e Alan Ford è uno dei capisaldi della mia adolescenza. Per quanto riguarda il disegno, invece, le mie “divinità” da sempre sono Magnus e Jack Kirby.
Che consigli daresti ad un futuro sceneggiatore?
Scappa! Scappa finché sei in tempo!...no, il consiglio migliore è: non fare questo mestiere se non ci metti davvero la passione. Questo mestiere si può fare bene solo se lo ami davvero, e se ami davvero i fumetti. Ci vogliono sempre persone nuove, che portino nel nostro campo nuove idee e nuovi punti di vista, ma è importante amare il fumetto e conoscerne bene la storia. Il fumetto non è un lavoro semplice, si deve essere creativi, ma anche professionali e rigorosi. Ognuno naturalmente sviluppa poi i tempi e le modalità di lavoro che gli sono più congeniali. Alcuni per esempio si trovano bene a lavorare ascoltando musica, altri riescono a scrivere praticamente ovunque perché hanno la magica capacità di isolarsi. Io devo lavorare in assoluto silenzio. Poi è importante conoscere la serie su cui si lavora, in questo caso Martin Mystere. Ogni storia è autoconclusiva, anche se gli sceneggiatori di nuova generazione cominciano ad avere un concetto di continuità quasi in stile “soap opera”, come nei fumetti americani. In tal caso, conoscere bene la serie è più che mai essenziale, per un nuovo autore.
Qual è, tra i tre personaggi principali di Martin Mystère, Martin Diana e Java, il tuo preferito?
Non ho preferenze vere e proprie, ma ho un piccolo sogno nel cassetto: scrivere una storia con protagonista Java. Così posso fare a meno di scrivere i dialoghi!
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