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Presentate a Venosa le storie di donne giovanissime che hanno cercato di uscire dalla prigione della propria famiglia mafiosa: Lupare rosa di don Marcello Cozzi

Incontro organizzato dal presidio del Vulture Melfese di Libera e dal Comune di Venosa

Occhi vuoti, spenti, bui. Senza pupille e senza luce. Occhi rivolti all’interno. Come quelli che Amedeo Modigliani dipingeva sulle sue tele a evidenziarne l’incapacità di guardare oltre e la paura di tirare fuori la propria anima. Sono così gli occhi delle donne che vivono una vita sospesa tra mafia e alternative.
Lupare Rosa è il libro che narra le loro storie. Storie di donne giovanissime che cercano di uscire dalla prigione della propria famiglia mafiosa. Storie di donne di confine tra un “dentro”, quello della criminalità di cui sono parte, e un “fuori”, quello di un futuro da riempire e reinventare attraverso nuovi valori di riferimento. Narrazioni di intensi percorsi interiori, profondamente segnati da pesanti condizionamenti culturali, maschilisti e mafiosi e da ogni forma di violenza di genere.
Non le “solite storie” di violenza, del solito marito padrone della propria moglie. Piuttosto racconti di un mondo per il quale la violenza è cultura e credo. Un mondo segnato da un “codice di vita” che impone che Thanatos vinca sempre e comunque su Eros. Soprattutto quando si tratta di donne.
Perché nel Medioevo che è la ‘ndrangheta il femminile è stigmatizzato a priori. Le donne sono considerate “naturalmente” proprietà dell’uomo. Devono vivere all’oscuro delle attività violente e criminali dei loro uomini. Devono essere mogli obbedienti, madri esemplari. Devono essere mute, sottomesse. Devono essere “stereotipi” di donne, icone di un immaginario maschile che le concepisce funzionali all’attività criminale mafiosa solo in forza di una completa invisibilità. E possono essere rispettate - ma solo apparentemente – nella misura in cui partoriscono figli mafiosi, preferibilmente maschi, e li educano al pensiero dei padri tanto per attendere al compito fondamentale di integrare pienamente l’anomalia della violenza nella normalità del quotidiano.
Oltre questo a loro non può essere riconosciuto alcun diritto, non può essere consentito alcun sentimento, alcuna scintilla di femminilità, alcuna sete di libertà o di identità, alcun pensiero autonomo o richiamo di coscienza.
E così che queste donne diventano vittime quattro volte.
Prima di un mondo che le costringe ad usare il burqua dell’onore, del rispetto, del silenzio, dell’obbedienza. Poi del marchio e del pregiudizio collettivo, perché, secondo il più comune dei luoghi comuni, non possono non essere mafiose come i padri che le hanno messe al mondo o come gli sposi che hanno scelto o come i figli che hanno partorito o come gli uomini di cui si sono innamorate e che hanno amato. Ancora vittime quando si sporgono oltre l’apparente normalità mafiosa dovendo pagare con il sangue la propria sete di libertà. Infine vittime dell’oblio a cui la ‘ndrangheta vuole condannare la loro memoria.
Volgere lo sguardo oltre gli steccati delle logiche mafiose, infatti, significa insubordinazione, significa vergogna e disonore, significa macchiarsi di un peccato che non può essere tollerato tantomeno perdonato e significa subire umiliazioni, svilimenti, minacce e violenze in una lenta discesa verso la morte! Sì, perché secondo il più classico e consolidato rituale di questo “mondo a parte”, per ripristinare l’onore macchiato, queste donne “devono essere suicidate”, distrutte completamente nel corpo e nel ricordo, purificate con l’acido che tutto brucia e che non lascia scampo, annientate nella identità e nella dignità.
Cetta Cacciola, Angela Costantino, Tita Buccafusca, Annunziata Pesce e Rossella Casini sono morte così. Don Marcello Cozzi, autore del libro Lupare Rosa - edito da Rubbettino - si è soffermato in particolare sulle loro storie nell’incontro organizzato dal presidio Vulture Melfese di Libera e dal Comune di Venosa tenutosi lo scorso 12 agosto presso il Castello Aragonese. In tale contesto alla F.I.D.A.P.A B.P.W. Italy – Sezione di Venosa, nella persona della Presidente Micaela Maiorella, è stato riservato il ruolo preminente di impostare le linee della discussione portando in campo il consolidato approccio di contrasto ad ogni forma di violenza e di sostegno dei diritti umani. Dopo i saluti della Sindaca del Comune di Venosa, Marianna Iovanni, sono intervenute Emma Villonio, psicologa e Maria Antonietta Dicorato, medico-psichiatra. Intensa la testimonianza di Carmelo Sferrazza, Presidente del gruppo Scout Agesci 1 Venosa, allievo di Don Pino Puglisi. L’evento ha visto anche il sostegno dell’associazione Rosangela D’Ambrosio Onlus di Venosa, del CIF - Centro Italiano Femminile Comunale di Venosa, del Centro Sportivo Italiano - Sezione di Melfi e della Caritas diocesana Melfi-Rapolla-Venosa.

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