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Cultura

Arte e copie d’autore: a Palazzo San Gervasio la mostra «D’après»

In una stanza sigillata dall’ombra e avvolta da muri bianchi, luci artificiali e riflessi tratteggiano un dialogo tra ciò che resta e ciò che riemerge. Lo sguardo si fissa sulle cornici dorate che segnano il confine di poche, intense opere, “sorelle” di autentici capolavori pittorici. Quadri ispirati a nomi iconici come Massimo Stanzione o Giacomo Di Chirico occupato spazi espositivi “nudi”, sottratti ad ogni ulteriore elemento che possa distogliere lo sguardo ed il pensiero dal complicato dialogo tra autenticità e copia. “D’après”, questo è il nome della collezione che un illuminato amatore ha voluto concedere in mostra dal 13 al 17 agosto scorso presso i locali della Associazione Palazzo Arte Cultura di Palazzo San Gervasio (https://www.facebook.com/palazzoartecultura/). Pochi giorni – troppo pochi in realtà – per lasciarsi coinvolgere in un inusuale esperimento peripatetico di re-visione creativa del passato, un viaggio di esplorazione tra opere “copiate” a mano, autentiche risonanze d’autore, rivedute e corrette nello stile o nei punti di vista.
Copiare, in verità, è sempre stata considerata una pratica disdicevole nella scuola e nella vita. Ma quando il “copiare” si arricchisce della personalità e dello stile del “secondo” autore, alimenta il propagarsi della creatività, diventa, appunto, un d’après, una citazione colta ed originale. Lo hanno fatto anche i più grandi artisti senza che, per questo, la loro levatura ne sia stata diminuita.
Il termine d’après, infatti, si riferisce ad un’opera artistica creata “secondo” o “dopo” un’altra, ovvero un’opera che si ispira, copia, reinterpreta o reimmagina un’opera preesistente. Il termine francese d’après significa proprio “da” o “secondo” e viene spesso usato per indicare un’opera che è derivata o basata su un’altra, anche se con intenti diversi.
Storicamente l’arte d’après è stata uno strumento primario per la formazione degli artisti, una forma di apprendimento profondo, una trasposizione intellettuale e didattica. Nei secoli passati, gli allievi delle botteghe artistiche e delle accademie, proprio copiando le opere dei maestri, acquisivano le tecniche ed imparavano ad esprimere il proprio estro, la propria visione creativa.
In epoche in cui la fotografia non esisteva, inoltre, copiare un’opera era l’unico modo per conservarla o farla conoscere altrove. Molti dipinti o sculture perduti sono noti oggi solo grazie a versioni d’après.
Nel nostro tempo, dominato dalla velocità e dall’immagine effimera, le opere d’après di Palazzo San Gervasio hanno riacceso i riflettori sulla necessità di ridare centralità alla “specificità”, alla “inventiva”, alla “tecnica” e alla “tempistica” umane. Hanno riacceso i riflettori, in particolare, sulla necessità di preservare lo sguardo curioso, emotivo, passionale di ciascun uomo-artista, quello sguardo che ancora consente, persino in un esercizio di riproduzione, rielaborazione o imitazione, di scavare nei sogni e di dare vita concreta e completa alle proprie innumerevoli, ineffabili spinte emotive. Perché il fattore umano, anche nell’arte d’après, rappresenta la prospettiva più resiliente, ciò che continua a farci amare gli artisti e la loro creatività, a farci rispettare la loro fatica e il loro impegno. Ciò che, a dire il vero, continua a farci sperare nella irripetibilità ed unicità della specie umana.
La mostra è stata un successo di presenze, nonostante la sua breve durata. Alla Associazione Palazzo Arte Cultura di Palazzo San Gervasio l’invito a replicarla, strutturandola, magari, come un percorso espositivo di approfondimento sui nuovi paradigmi creativi dominati dagli algoritmi della intelligenza artificiale. Un percorso diverso. Non migliore, non peggiore. Un’altra prospettiva per arricchirsi.

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