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I pensieri dell'altrove

Una testa piena di domande

Le mie domande non sempre hanno parole, figuriamoci le risposte, ma mi aiutano a celebrare l’attività specifica che ci rende unici, liberi ed umani: il pensare.

Una testa piena di domande

Opera di Antonella Cinelli (galleria piziarte.net)

Scoprire di aver visto le cose da un punto di vista sbagliato può essere liberatorio. Uscire dalla propria testa e individuare altri e diversi livelli di considerazioni supporta il concetto che nessuno ha la forma perfetta di pensiero, seppure quel pensiero possa essere oggettivamente  innocuo ed educato. Fondamentalmente si tratta di un’operazione cautelativa, cambiare posizione in certe circostanze serve, o potrebbe servire, a misurare le proprie risorse e a proteggere le difese prima che vengano ulteriormente esposte. Il fatto è che raramente ammettiamo con esplicita onestà di aver commesso degli errori di valutazione, siamo stati strutturati per custodire la nostra personalità e la nostra identità. Anni ed anni di lavoro fatto di apprendimento, di elaborazione, di memorizzazione, di applicazioni e poi un giorno può accadere che ci si accorga che tutto questo materiale può essere oggetto di modifiche o di variazioni sostanziali. Niente di grave o irreversibile, niente di distruttivo, solo una diversa distribuzione di priorità ed analisi. Ed è liberatorio perché si svuota il macigno della certezza assoluta, della fermezza dell’idea vissuta come un compito di ragioneria, della verità intesa più come un dovere che come un libero principio etico. Io sono una che ha la testa piena di domande. Una delle poche consapevolezze permanenti  è quella di dare disciplina a tutto questo traffico, ma è un regolamento che disattendo continuamente e disinvoltamente. Le mie domande non sempre hanno parole, figuriamoci le risposte, ma mi aiutano a celebrare l’attività specifica che ci rende unici, liberi ed umani: il pensare. Sono ormai rassegnata ai miei dubbi ed alle prepotenti imprecisioni emotive, alle folate gelide di venti che arrivano da continenti sconosciuti, alle scosse telluriche così potenti da far crollare impietosamente intere giornate buie anche se sono state benedette dal sole, agli insulti al petto che arrivano con l’arroganza di una sberla non giustificata. Non ho davvero grandi certezze, se non il mio nome e la mia storia, la mia isola immersa e i confini della mia terra di periferia un po’ venduta e un po’ scordata, il cielo che guardo tutti i giorni, il mio stupore per le nuvole che viaggiano senza apparenti destinazioni e il sentimento completo e maturo che provo per i miei nipotini. Non ho evidenti certezze, se non quelle per le mie notti con gli sbandamenti, fra un lato del materasso maltrattato e le ore sbattute sul soffitto da una lucina rossa, per le stagioni che si manifestano a dispetto di tutto, la mia inspiegabile attrazione verso i buchi neri e per il ricordo fascinoso del cartone animato di Capitan Harlock. Ma spero, comunque, di avere sempre cura della mia lucidità, è la sola condizione che ci resta per poter capire se va cambiato il registro di qualche narrazione oppure, appunto, se ci restarà ancora sufficiente tempo per  scoprire di aver visto le cose da un punto di vista sbagliato. 

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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