IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
17.03.2019 - 10:31
Opera di Angelo Barile (Galleria piziarte.net)
Non ho molte immagini, dentro di me, dei miei genitori mentre ero piccola. Restano le romantiche fotografie in bianco e nero, in formati piccoli e con gli orli un po’ stropicciati, restano i racconti di quegli istanti, ma le facce non mi tornano. Eppure quando ho fra le mani questi reperti del mio passato mi viene sempre un impeto di compiacimento e di piacere: i miei genitori, da giovani, erano veramente belli. È un peccato che non me li ricordi, come del resto penso non li ricordi nessuno, perché i visi ancora senza rughe o i capelli senza insulti grigi ci restituirebbero una dimensione affascinante e curiosamente sconosciuta dei nostri genitori. Io ho piena coscienza della loro immagine dai miei vent’anni in poi. Forse prima ero distratta, o troppo impegnata nella mia crescita, o semplicemente non li ho guardati con l’intenzione ferma e razionale di doverli fissare nella memoria. Penso che da bambini i genitori li vivi e basta. Li osservi con gli occhi della ordinarietà quotidiana, avverti il condizionamento del ruolo, ti trascina il trasporto affettivo, ma non si ha la fredda cognizione di volerli attraversare come persone. Ed è giusto così. Poi un giorno accade che ti accorgi di essere stata attraversata tu da tutti quei gesti, quei movimenti, da alcune inclinazioni e persino a volte da quella particolare modulazione della voce di chi ti ha cresciuta. Tutto un bagaglio di informazioni silenziose ma fortemente incisive, tutto un mondo di lacci emotivi che si sono legati al nostro carattere, al nostro dentro più intimo. Lì comincia la vera relazione fra noi e quello che abbiamo assorbito, appreso, compreso, contestato e rifiutato. L’emancipazione e la struttura di una personalità col tempo si andranno sempre più a definire, contestualmente alle esperienze ed alle circostanze che vivremo e che ci distingueranno nei percorsi. Ma il concetto dell’imprintig ricevuto sarà il mattone fondamentale che ci terrà compagnia per sempre. Come il colore degli occhi o la forma delle mani. Come un ricordo che anche sulle lunghe distanze lavora senza chiedere permessi e la sua continuità galleggia nell’anima inconsapevole. Un giorno, in un momento ignorante, il ricordo o quel che è restato di esso, tornerà come un segnale muto ma preciso, con un codice di appartenenza indiscutibile, un richiamo del cuore a cui non ti puoi sottrarre - Mia madre, nel lungo periodo della quaresima, faceva dei fioretti. Così le era stato insegnato, così aveva imparato. Per lei era tanto importante quanto educativo e infatti chiedeva anche a noi di osservare questi esercizi privativi. Il suo era un tentativo didattico per farci comprendere cos’era una rinuncia, ma anche perché, nella sua fermezza di fede, era convinta di compiere gesti che avrebbero rafforzato la clemenza del Cielo. Era fondamentale fare a meno di qualcosa che fosse fortemente desiderato, quel qualcosa che decidendo di non avere avrebbe procurato una leggera sofferenza o, almeno, uno stato obbligatorio di ingombrante frustrazione. Più l’oggetto del desiderio si fosse presentato seducente, più il suo allontanamento volontario sarebbe tornato come un fioretto riuscito. Contestavo continuamente questi inviti di mia madre, ma poi i sensi di colpa mi sovrastavano e un attimo dopo mi dispiacevo per il suo dispiacere. La sua posizione appariva coerente con il suo modo d’essere ma per me il più delle volte sembrava caparbia ed incomprensibile. Solo che io allora avevo lo sguardo corto, la spregiudicatezza degli anni giovani e l’imprudenza della disobbedienza. Poi il tempo passa... Qualche giorno fa ero in centro in città, ad un tratto ho avuto improvvisa la voglia di un mega gelato al caffè con la panna e per quanto l’aria non fosse caldissima mi stavo avvicinando decisa verso la gelateria. Io non so il perché, ma in quel momento mi è venuta in mente mia madre. È stato un attimo, il gelato non l’ho preso più, ho cambiato direzione ed ho guardato il cielo. C’erano due nuvole grandi che il vento spostava con forza verso sud e loro seguivano rassegnate la rotta destinata. Ho sorriso, ho pensato che ognuno ha la sua porzione di destinazione rassegnata, magari non lo sa, ma se si sposta lo sguardo la si può seguire verso il vento affidato. Ho avuto un attimo di malinconia, un brivido nella testa ed ho mandato fra le due nuvole grandi un invisibile e caldo abbraccio a mia madre.
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