IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
10.03.2019 - 10:39
Daniela Balsamo, "Annuncio" (galleria Piziarte.net)
Quando leggiamo o veniamo a conoscenza di alcune vicende, queste sono già accadute. Ma questa "distanza" anche breve non le rende meno incomprensibili o meno insopportabili perché comunque arriva nell'anima una sberla di dolore che non passa.
Succedeva a Taranto qualche giorno fa: una madre ha abusato e violentato per anni i suoi bambini insieme al suo compagno e ad un loro amico. Le età variano da sei anni a dodici e non è meno grave, anzi lo è di più, che i bambini avessero tutti delle deficienze intellettive.
Un'esplosione di orrore e scempio inflitto a tradimento da un fuoco amico, visto che nelle orge oscene era sempre presente la madre dei poveri piccoli, usati come inconsapevoli mezzi di perversione al di là di ogni possibile immaginazione.
Ancora, un padre violenta, picchia e sequestra per mesi sua figlia in una stanza perché è l'unica strada che conosce per allontanarla dalla scelta di essere omosessuale e per farle conoscere la "normalità".
Ancora, una madre fa prostituire sua figlia di vent'anni per avere i soldi necessari per le slot-macchine. L'altra figlia dodicenne picchiata tutti i giorni per evitare che parlasse. Per ultima, la notizia che una bimba di quattro anni lamentava dolori al basso ventre: infezioni nelle zone intime per violenza sessuale ripetuta da parte del padre.
Non c'è rimedio alcuno dinanzi a movimenti di sconnessioni così estreme, nè la possibilità di risarcimenti psicologici, seppure parziali, per tutte queste vittime innocenti, nè si può stare a discutere più di tanto. Non servirebbe. Mi chiedevo se il momento lucido del mondo sta evaporando insieme a qualche scia chimica, o se c'è un'epidemia circolare di infelicità mortifera, non so se l'effetto emulazione trova seguaci solo nel trucido, non so neppure se si tratti di universale tendenza ad una inconscia estinzione di noi stessi. Cadiamo a piombo come ingovernabili schegge in circoli di delirio, urliamo con le voci sgraziate della disperazione collettiva, per vincere le voragini di valori usiamo l'orrore, per abituarci alla ferocia adoperiamo la violenza. Il pianto di quei bambini, le urla di quelle ragazze, quelle voci che partono dal vortice della devastazione a me sembrano la voce del dolore del mondo. È il fiato ammorbante di un disagio degli uomini che non sa guarire, è la potenza del disamore e la sofferenza del sentirsi soli in un mondo troppo pieno di vuoti. E in questi precipizi è comune scordarsi l'essenza e l'essenziale, cioè che nasciamo tutti così uguali e nudi, bagnati dallo stesso sangue caldo e partoriti dalla stessa carne di femmina, che tutti veniamo dallo stesso antico, umido profondo, che facciamo tutti quello stesso primo pianto con la vita che esce dall'acqua ed entra nell'aria che brucia. Che ci sbattono le vene se scivoliamo dentro ad un'emozione, che ci trema il cuore per uno spavento, che si allargano di commozione gli occhi dinanzi alla bellezza, che abbracciare un bambino è ricordare alla pelle cos'è la magia della tenerezza. Scordiamo tutto perché è più facile annaspare col niente o con il vago. Scordiamo noi stessi perché così ci pare di allontanare anche le nostre tragedie, le stentate sopravvivenze, gli ingorghi bui che ci restano attaccati come i nodi permanenti dell'ombelico. Eppure la vita è tutta qui e adesso, è disponibile, invisibile, un po' ruvida puttana e un po' signora misericordia, con la vocazione alla passione che qualche volta suda nelle nostre mani e con le ultime, vitali risorse che meritano i superstiti. È vero, è incomprensibile e incompiuta, a volte sembra una storia stupida, altre volte un compito astratto, ma segue umanamente la sua traccia: mortale, inquieta, fenomenale e unica, per molti versi ripetuta e, esattamente come noi, irrimediabilmente arresa all'Infinito
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