IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
27.01.2019 - 11:07
Matera e i suoi sassi, in una foto del 1948
Io spero che dopo questo anno di stravolgimento e di eventi, di traffico umano e commerciale, il tempo possa restituire ai buchi il progetto iniziale del silenzio e dello stupore.
Succede che le pietre parlino. Succede che le senti respirare dietro di te, che sono corrose dal tempo, sfiancate dai venti, ma il loro sudore e il sospiro freddo li avverti. Succede che certe pietre non hanno visto solo piedi passarci sopra ma sono state case, riparo, vita che impregnava i muri. Le pietre di Matera, i sassi, sono così. Essere lì in un giorno di nuvole gonfie, con un vento che gela l'aria e i movimenti, essere lì e fermare gli occhi su quei buchi nella roccia e pensare, immaginare, abbracciare. Così tutto diventa un viaggio nell'antico e nella pietra, nella magia dell'arcaico e nella inquietudine della storia. Un mondo cavernoso così popolato e vissuto non lascia indifferenti, allerta la fantasia, vedi buchi ciechi profondi e dentro vedi uomini, nuclei familiari che come animali rudi e selvatici si arrampicano, si amano, si prendono una vita che prevede essenzialità, scarsezze, durezze. E lasciano impronte e segni, eredità inconsapevoli, oggetti che diventeranno reperti, tracce che nel tempo diverranno come reliquie da custodire e difendere. Da piazza Duomo scendi per via Muro e di fronte hai il Sasso caveoso, a ridosso della gravina, in alto a destra la chiesa rupestre di Santa maria de Idris. Roccia nella roccia, pieno duro e vuoto scuro, il sacro che imprime messaggi e conserva il dialogo con i contemporanei.
Questi buchi esposti al sole mi fanno impressione, sono di fronte alla luce per non morire di freddo e, anche, di povertà di luce. Matera resiste al tempo perché è il tempo che si arrende alla pietra che non muore, diventa patrimonio dell'umanità ed ora scelta come città europea della cultura. Perché il passato tende le mani per non farsi dimenticare e farsi salvare, per non far disperdere quell'intimità silenziosa di cui si nutre l'aria che tutti gli umani respirano. A Matera, fra vicoli stretti che si incontrano senza fretta ti perdi pure se sei di Matera, e si scivola senza accorgersene in una pausa di sospensione del tempo con tracce dense di sacro e di divinità. Sarà per questo che, qualche tempo fa, lungo una salita di scalini antichi sbattuti e consumati dal vento, a me sembrò di vedere Dio. Mi veniva incontro ed era vestito da centurione romano. Aveva l'armatura composta, i calzari, aveva l'elmo fra le mani, la tunica rossa. Aveva lo sguardo che frantumava il cielo e i muri, le nuvole e il tempo, aveva l'andamento superbo di chi è sopra le cose e lo sa. Veniva salendo, senza umane debolezze, come un guerriero pronto alle battaglie, con la fierezza di chi conosce l'odore del sangue e della morte ma non se ne spaventa. Mi sono pietrificata, pietra fra le pietre, appunto, e ho pensato che ero graziata da una visione che forse nascondeva un messaggio speciale solo per me. Ma poi sono stata fermata da uno che parlava in inglese, mi ha fatto accostare al muro e mi ha detto in modo irrevocabile di non muovermi da lì. Dio era un attore, giravano una scena importante dell'ultimo kolossal americano sulla storia romana. La città era piena di comparse e di set perché le caverne materane sono una suggestione naturale per un film storico e tragico che successivamente è uscito con il titolo di “Ben Hur”. Mi sembrava tutto assolutamente perfetto, una commistione densa di odore di guerre e trappole umane, di intrecci stretti fra la vita, il sangue e la morte. Matera è un luogo mistico, va attraversato con cautela e pudore, con l’attenzione che si deve avere per un’amante segreta, fragile ma quasi necessaria, giusto per farci capire cos’è l’amore e il suo laccio intimo, il suo segreto e i suoi pericoli. Io spero che dopo questo anno di stravolgimento e di eventi, di traffico umano e commerciale, il tempo possa restituire ai buchi il progetto iniziale del silenzio e dello stupore. Con la dignità propria della consapevolezza che sa riconoscere il limite e la potenza di essere unici.
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