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I pensieri dell'Altrove

Quella felicità incosciente e contagiosa

È come sentire i raggi del sole che vanno a curare i tuoi luoghi freddi. Poi resti un po’ così, fra la sazietà e lo stordimento

Quella felicità incosciente e contagiosa

Casaluce - Geiger 2001, Selfportrait (Galleria piziarte.net)

Parli piano, e ridi. Si appoggia sulle guance quella incosciente felicità contagiosa, così piena di puntini colorati simili a coriandoli nell’aria, si disegna nel cielo un improvviso arcobaleno che parte dai tuoi occhi e torna alla tua voce. In questa condizione si attenua il dispiacere, si indebolisce l’ansia. Mentre ti guardo provo ad allungare il tempo, così veloce quando ti viene intorno il bene, provo a concentrare il senso. I momenti della gioia non si fermano oltre la percezione, se li cerchi non li trovi, se li chiami non ti ascoltano, loro arrivano. Rompono i silenzi familiari e li strapazzano con note vivaci, si inventano relazioni strette fra la trasparenza di una carezza e la pienezza di una convinzione. Questi attimi diversi assomigliano a ricchezze invisibili che hanno dentro la potenza per poter modificare le prospettive del cinismo, sono cose nostre brevi e intense, sono come la merenda che, moltissimi anni fa, aspettavo in collegio alle cinque del pomeriggio. Era un momento di grazia, dopo le ore rigide dedicate allo studio, tutte incolonnate nei banchi in una stanza grande con le luci al neon, fredde e sorde come il cielo di novembre. Io, per spezzare la tristezza, già a partire dalle sedici e trenta mi chiedevo cosa ci avessero preparato quel pomeriggio. Quando arrivava il panino bello pieno di quella affettuosa crema al cioccolato mi sentivo per cinque minuti benedetta dalla vita, mi scordavo la malinconia, gli esercizi di matematica e la debolezza della mia condizione perché il piacere della cioccolata, nella bocca piena, mi ridava la forza e quella gioia acuta che si trova solo nelle cose imparentate con la felicità. Ma è difficile da grandi individuare le sequenze della felicità, quando arriva già capisci che se ne è andata, ha una mobilità estemporanea che non si lascia trattenere ma si fa desiderare, ha le pulsazioni accelerate che non fanno male, ha le sensazioni di una salita raggiunta e conquistata. La felicità non si fa indossare, non si fa toccare e non si fa vedere, lei ti attraversa. È un estratto di endorfine, un momento di consolazione che si avvicina al cuore, é come sentire i raggi del sole che vanno a curare i tuoi luoghi freddi. Poi resti un po’ così, fra la sazietà e lo stordimento, la fortuna e l’euforia, la leggerezza ed il rientro inevitabile nella consuetudine... Intanto tu hai smesso di ridere e parlare, continui a giocare. Ma adesso te lo dico che da qui, per un tempo fulminante e lucido, per un volo alto, è passata l’aria solenne e magica della felicità. 

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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