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I pensieri dell'Altrove

I tempi dell'attesa

Aspettare è stare attenti, è essere vigili al segnale, è trasformare la calma piatta in una esplicita richiesta di mutamenti. Ma bisogna essere scolari disciplinati

Il tempo dell'attesa

"Courtesy", Maurizio Taioli (piziarte.net)

Quando si è sufficientemente allenati si intravedono i desideri che vorremmo diventassero fatti e la luce che taglia il futuro senza renderlo troppo visibile

Aspettavo un treno con altri viaggiatori che aspettavano altri treni. Aspettavamo di arrivare da qualche parte, ognuno con i propri bagagli ed i propri pensieri. Ci guardavamo e aspettavamo. Eravamo in tanti, eppure in quei momenti ho avuto l’impressione che il solo limite che ci differenziasse fossero gli orari e le destinazioni diverse, tutto il resto, e cioè quel modo di frequentare il tempo in modo interlocutorio e transitorio, quello stare tendenzialmente in ascolto di un qualcosa che deve arrivare, mi è sembrata una situazione familiare a tutti. Eravamo simili, in una postura provvisoria,  protagonisti di uno squarcio narrativo comune che si fa chiamare attesa. Ho sempre pensato che siamo tutti in attesa di qualcosa: di una domanda che richiede risposta, di una conferma, di un abbraccio, di una rivoluzione, di una curiosità sospesa. Le attese puntualizzano gli incontri, hanno fili dritti di tensioni nelle quali si trovano le nostre capacità, messe alla prova fra un prima di entrare in una situazione e un poi che si conclude. Quando si è sufficientemente allenati si intravedono i desideri che vorremmo diventassero fatti e la luce che taglia il futuro senza renderlo troppo visibile, ma l’applicazione alla funzione, per esperienza, invita sempre ad un prudente ottimismo. La convinzione che ho è che il tempo sia uno strumento logico e funzionale alla produzione inesauribile di pensieri, di sentimenti, di comportamenti, e che fra loro si innesti il nervo sensibile dell’ansia produttiva tipica di un’attesa. Aspettare è stare attenti, è essere vigili al segnale, è trasformare la calma piatta in una esplicita richiesta di mutamenti. Ma bisogna essere scolari disciplinati e severi, non si può pretendere di avere se non si lavora per ottenere quello che vorremmo dopo l’attesa. Dovremmo impegnarci perché il progetto possa essere concretezza. Pensare è facile, ma fare del pensiero un fatto reale nel quale vogliamo entrarci dentro richiede fatica. Ma ci sono anche attese senza interazioni dinamiche, dove il ciclo biologico della natura o del mondo non si possono modificare, dove le ore di una notte lunga si impongono e vanno subìte, quando un dolore nel quale sei caduto non dà indicazioni di guarigione e devi, per sopravvivere, accoglierlo e quasi amarlo per farlo diventare appena un po’ meno feroce, quando le cose impietose ti cadono addosso, ti mangiano le certezze deboli e a quel punto puoi solo “guardare” l’attesa, sperando nella sua misericordia e nella tua modesta e progressiva rigenerazione. Tanto, poi  tutto passa e forse si ripete, ma ogni volta é un passaggio diverso. È vero che la storia si ripete, ma il miracolo è che ognuno ha il suo pezzo di storia singolo ed individuale, le proprie emozioni e le proprie reazioni. Le attese sono uguali e continue, felici o disperate, variabili e a volte prevedibili. L’unico elemento che resta unico e irripetibile, prezioso e spaventoso, è la nostra anima.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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