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I pensieri dell'altrove

Genova, quel ponte sospeso sulle nostre coscienze fragili

Noi, uomini moderni in grado di farci del male in maniera del tutto irrispettosa  e stupida. Noi che della conoscenza spesso ne facciamo presunzione. Noi che solo di fronte al distacco frontale con la vita ci facciamo carico delle sciagure che ci fanno pericolosamente avvicinare alla morte.

Genova, quel ponte sospeso sulle nostre coscienze fragili

Il quattordici di agosto è come il ventiquattro di dicembre. Ci si organizza per la festa del giorno dopo.  Quando ero più giovane non ricordo questa giornata con delle connotazioni particolarmente festive, al mio paese c’era la Madonna che arrivava dalla chiesetta di campagna, c’era la processione, la banda, ma non ci auguravamo “ buon ferragosto”. Non si preparava la festa laica, non si doveva per forza pranzare in un ristorante sul mare, si preparava in casa il pollo al ragù e si seguiva la tradizione della passeggiata serale. Ora il ferragosto ha assunto note mondane, tanto che fino al mezzogiorno del quattordici agosto, appunto, l’unica nota veramente fastidiosa per tutti i ferragostani in procinto di organizzazioni, erano le previsioni meteo veramente scoraggianti. Invece accade quello che non ti immagini perché  tutto sembra cambiare all’improvviso, in tv e sulla rete compaiano immagini che sembrano verosimili, non vere. Un ponte lunghissimo, imponente, sospeso nel vuoto e trafficatissimo, incredibilmente crolla. Viene giù una porzione importante di viadotto portandosi dietro cemento, piloni, macchine, mezzi pesanti. Sembra la scena di un film catastrofico, fai fatica a capire che tutto si è davvero compiuto in una sequenza tragica di minuti comuni. Sono andate giù, in un volo assurdo e terrificante, decine di persone.  Padri, famiglie, bambini, mamme. Vite. Storie comuni di nomi che un momento prima parlavano fra loro, ascoltavano una canzone, andavano a casa, in crociera, forse in quel momento qualcuno dormiva, oppure rideva. La pietà per queste persone è tanto più larga quanto la considerazione che su quel ponte poteva trovarsi, per ragioni ordinarie, ognuno di noi. Viaggiavano, andavano, tornavano, ma non si erano scelti una situazione di pericolo o un percorso stradale con potenziali rischi. No. Erano su un ponte moderno, un’opera altamente tecnica ed ingegneristica, una struttura nota che era diventata un simbolo per la città di Genova. Dopo che accadono eventi così scioccanti viene a tutti, credo, un momento di scompenso e disorientamento. Ci si sente braccati dall’insicurezza, dallo stress di sentirsi vulnerabili ovunque, dall’incapacità di pensare alla “messa in sicurezza per il cittadino” come ad un titolo certo e serio. Ci si sente come l’autista di quel camion verde  fermatosi miracolosamente solo qualche metro prima del collasso, cioè ci si sente sul bordo di un precipizio. Non sono in grado di fare valutazioni tecniche, ho seguito umanamente con apprensione e angoscia il lavoro complicatissimo dei soccorritori e mi dico che la fragilità dell’esistenza ha già al suo interno la vocazione al lutto. La delicatezza dei limiti adesso mi appare ancora più esile, le tragedie avvengono anche quando c'è il sole, l’innocenza, l’ignoranza dei fatti e la banalità delle cose. Sembra che la vita ci debba ricordare che stare nel dolore non è una possibilità da scordare, da scansare o da imbrogliare. Stare nel dolore non è uno scandalo, ma una condizione umana ripetuta e frequente, conosciuta e prepotente. In un agosto così le giornate hanno ormai un altro significato. La conta dei morti, i funerali di Stato, il servizio enorme dei vigili del fuoco. I pareri degli esperti, la politica che si scanna, la polvere nei polmoni, le case abbandonate. E le parole perse nello strazio. Nei ricordi di un figlio, di un amico, di un cugino. Noi, uomini moderni in grado di farci del male in maniera del tutto irrispettosa  e stupida. Noi che della conoscenza spesso ne facciamo presunzione. Noi che sbarchiamo sulla luna ma non sappiamo avere cura dei quotidiani passi sulla terra.  Noi che solo di fronte al distacco frontale con la vita ci facciamo carico delle sciagure che ci fanno pericolosamente avvicinare alla morte. Io credo che l’estate sia finita, le abbronzature sbiadiranno prima, lo strappo di questo ponte è un crollo per ogni altra frivolezza, non possiamo non sentirci civilmente coinvolti. Almeno per un tempo necessario di riflessione, di ridimensione e di discussione responsabile. Almeno per quel tempo severo e solenne che si deve ad lutto collettivo ancora tutto da elaborare.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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