IL MATTINO
I Pensieri dell'Altrove
27.05.2018 - 09:04
Eric Serafini "Senza titolo" 2003 olio su tela (Galleria piziarte.net)
“Era una famiglia normale”. “ Era una persona normale”. Onestamente comincio ad avvertire un leggero smarrimento quando sento che comportamenti criminosi o poco riconducibili ad una cognizione di giudizio ordinario possano essere stati compiuti da gente “normale”. Cos’è o che significato ha la definizione di normalità? Come si identifica, quando si manifesta, quando scappa per tornare da una fuga disobbediente e quando invece abbandona per sempre una condizione? Noi esseri umani, quando ci troviamo in situazioni emotive stressanti, quando siamo sottoposti a sollecitazioni psicologiche faticose, siamo portati a pensare che il sollievo può arrivare solo da una mano rassicurante uguale alla normalità. Ma, e anche questa è una faccenda esclusiva degli umani, se dovessimo vivere una fase lunga di “normale” appiattimento ci arriverebbe il bisogno di scombinare quell’assetto perchè ci potrebbe apparire noioso, privo di interesse, opaco, quasi potenzialmente depressivo. Allora la normalità non può avere definizioni rigide, non è come avere gli occhi neri per sempre o avere per tutta la vita lo stesso nome. La certificazione dell’ordinario, del consueto, del prevedibile ha quindi delle variabili ampie e non restrittive. Comprende modifiche elastiche legate a momenti soggettivi, ambientali, psicologici. In una storia individuale apparentemente codificata si nascondono i pensieri molesti, devastazioni interiori non sanate, conflitti che rimandiamo sempre giù nel basso senza mai affrontarli guardandoli in faccia, zone di buio alle quali ci affezioniamo così tanto che alla fine diventiamo quasi ciechi. Noi siamo creature spaventate. Nel prevedibile ci rassicuriamo, nell'omologazione ci mettiamo comodi. Ma nello spavento, con l'angoscia della paura di noi stessi, siamo capaci di immergerci nelle tragedie piu feroci, scivoliamo nell'imbuto del dolore che ci divora, ci mutiliamo l'anima dimenticata. Essere normali e sentirsi normali credo non sia la stessa percezione. Bisognerebbe che ci proteggessimo dall’idea che pensare in modo diverso, fare scelte diverse, andare contro vento siano segni devianti. Se non rechiamo dispiacere o danno agli altri, dovremmo avere il coraggio di essere più fedeli al nostro carattere e alle nostre inclinazioni. Penso anche che dovremmo imparare ad essere più leali con noi stessi e più lucidi con i nostri limiti. E dare più tempo all’ascolto. Quello indulgente, attento e profondo. Certamente a chi ci è intorno, ma io intendo soprattutto l’ascolto che andrebbe dato alla nostra esclusiva impronta invisibile e, per questo, più sconosciuta e sfuggente. Solo così, forse, potremmo decifrare i sintomi di qualche sua nascosta malattia. L’ascolto come una terapia, un antidoto al veleno della solitudine feroce, un momento per capire se dobbiamo chiedere aiuto. E anche come un abbraccio all’anima, prima che si smarrisca, si possa ferire e non sappia come guarire.
edizione digitale
Il Mattino di foggia