IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
11.03.2018 - 11:22
La domenica mattina le finestre si aprono più tardi e restano aperte più a lungo. Stamattina nell’aria comincio a sentire il verso degli uccelli, fino alla settimana scorsa erano nascosti chissà dove, oggi stanno già pensando di infilarsi sotto le tegole, di volare leggeri, di posarsi sui rami. È ritornato anche il gattone nero in giardino, acciambellato sotto un raggio tiepidissimo di sole. Sempre sulla solita piastrella, lo sguardo rivolto ad est. È ingrassato, ma sta talmente bene in salute che, visto da una certa distanza, sembra una grande palla piena e indolente, pigra nella sua sfericità statica e immobile sotto la luce mattutina di marzo che torna ogni anno, puntuale e affezionata. Apro l’ipad per scrivere, passo cinque minuti a passeggiare nella piazza di Facebook. Le notifiche sono diminuite, pare per l’applicazione di un nuovo algoritmo del sistema, la cosa mi dispiace. Inutile mentire, più numerose sono le presenze, i consensi, le interazioni, gli scambi di idee (anche le incazzature), più avverti di avere a che fare con il mondo anche lontano, con una forma di comunicazione globale che attrae, unisce, infiamma. A volte di più, a volte più modestamente, ma ormai le risposte e la scrittura moderna sulla tastiera sono gli elementi indicatori della nostra forma sociale, professionale, umana. Sono il bisogno di imprimere i pensieri non solo nel nostro privato dialogo quotidiano, ma anche il desiderio di volerli estendere, allungare, farli arrivare oltre i confini delle colline e farli volare ancora più in alto della stessa voce silenziosa che li spinge. Facciamo compulsivi tentativi di appoggiarci alle parole per farle diventare accondiscendenze, comprensioni, condivisioni, presenze. E aspettiamo ritorni di calore e di momenti misericordiosi, meno impregnati di vecchie solitudini attaccate ai muri del cuore. Vedo scorrere fra i ricordi una foto sulla neve di me e mio figlio piccolo, siamo noi eppure siamo altri, siamo il tempo passato che è entrato nel futuro e si ferma in un transitorio presente. Siamo “mamma” e “figlio”, ora sono madre e mio figlio un uomo. Siamo, come ci rammenta Facebook, il ricordo di un ricordo. Siamo la vita che cammina nelle stagioni, che attraversa i fatti, che, come il gattone nero, si ferma per un attimo di raggio tiepido e poi si sposta perché il raggio si è trovato un altro angolo. Si torna solo sui ricordi, non è possibile su altro. Anche quando si ritorna in un luogo, noi siamo già diversi. Più invecchiati, più magri, più solidi, più grassi, più deboli, più arrabbiati, più stanchi. Forse il luogo è rimasto uguale, ma noi siamo cambiati. Il gatto nero si stiracchia, poi punta qualcosa nel cespuglio, la coda si incrina. Con più fatica rispetto all’anno scorso fa un salto oltre la piastrella, ora è col muso nell’erba. Chiudo la finestra, chiudo i ricordi. Spedisco il pezzo e chiudo l’ipad.
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