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I pensieri dell'Altrove

Quelle parole che squarciano l'anima

Mi accuccio sul foglio come in una culla, affido alla penna la mia disperazione, alla mia mano la mia salvezza, forse da oggi nel mio incubo io non sarò più sola.

Quelle parole che squarciano l'anima

La penna scorreva veloce, sul foglio bianco del compito in classe. Veloce, prima che potesse arrivare un ripensamento, un attimo di indecisione o una montagna di vergogna addosso. Forse a quella penna non pareva vero di poter finalmente mettere nelle parole tutto il mostruoso bagaglio di dolore che finora si era nascosto nel silenzio. Quella mattina, protetta da una domanda apparentemente generale, a quella ragazzina di quattordici anni si è squarciata l’anima, il corso del fiume di veleno che la uccideva ha cambiato verso. “ Racconta qualcosa che finora non hai mai detto a tua madre”. - Ecco, ora lo dico, finalmente lo dico, lo sputo, lo vomito. Lo dico che papà viene nel mio letto da mesi, che sono costretta alla sopraffazione ed all’orrore, alla mortificazione di me e del mio corpo, allo schifo che mi schiaccia  e all’impotenza che mi toglie l’aria dal cuore. Lo dico, che ogni volta che tu vai a lavorare e resto sola in casa faccio i conti con il mio inferno, che ho terrore del male ed ora anche della mia piccola vita. Mi accuccio sul foglio come in una culla, affido alla penna la mia disperazione, alla mia mano la mia salvezza, forse da oggi nel mio incubo io non sarò più sola. Sì, ora lo dico. E lo scrivo. Come un s.o.s estremo, come un messaggio lanciato verso il cielo, fuori da un buco lurido. Io lo scrivo, adesso o mai più. Lo faccio perché forse (speriamo) domani qualcuno mi risponderà e si accorgerà di me e della mia ferita -  

A volte scrivere é più facile che parlare, ci sono espressioni che la lingua scritta rende meglio nella loro completezza, le parole restano negli occhi, entrano sotto la pelle, fanno tremare. Così è stato. Il foglio bianco del compito in classe aveva l’odore acre del sangue e del sudore della paura, la professoressa non ha potuto non sentirlo. E la storia di questa infelice ragazzina ha rotto i sigilli del perverso segreto familiare, ha preso forza nella scoperta della verità e della conoscenza. La scuola come tramite salvifico fra una famiglia in cui si praticava la violenza e la possibile rivincita su una vita che si era precocemente ammalata di dolore. Un tema con una traccia inconsueta, per qualche intuizione di una insegnante o per qualche sospetto strisciante, ma utile per offrire ai ragazzi la possibilità di essere sinceri, crudi, e soprattutto compresi e aiutati. Così, la parola ha finalmente aperto la botola, ha scoperto la bugia terribile e la mistificazione apparentata con il ricatto del segreto che diventa un patto con i demoni. L’epilogo di questa brutta storia ha un altro elemento di negatività e sgomento, il presunto mostro-padre qualche giorno fa si é impiccato. Ed ora immagino tutta l’enorme fatica che questa ragazzina di quattordici anni deve affrontare per ripristinare, nel tempo, un minino di equilibrio con la sua persona, la sua parte spezzata, la sua anima morta. Un peso che non riguarda solo l’elaborazione delle sue inaccettabili violenze, ma anche un lutto che non ha un nome da ricordare senza provare ribrezzo, un lutto che può paradossalmente  diventare una colpa. Io spero, piccolina, che la tua ferita sia curata con delicato amore, che tu possa ricompattare tutti i pezzi sparpagliati di te, che tu possa riguardare con orgoglio le altre facce della tua vita, e spero che il tempo possa restituirti la piena consapevolezza del tuo sano bisogno di pulizia e il potente richiamo alla tua irrinunciabile libertà interiore, alla tua giovane età da riconquistare. Alla tua porzione di tenerezza, di fiducia. E di normale felicità. 

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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