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I pensieri dell'Altrove

Era Novembre, ed io nel mezzo

Non ero ancora grande, ma neanche abbastanza piccola da non capire, ero in quella via di mezzo che voleva una luce di notte come compagnia e vedeva passare di giorno un treno veloce di domande che giravano nel cuore

Era novembre, ed io nel mezzo

Mi ricordo che era novembre e non faceva caldo nè troppo freddo. Il cielo si era appoggiato, sotto forma di morbida nebbia, sulla schiena curva della terra, l'aria era ferma nella sua penombra grigia, i rumori erano pacati. Mia madre era in cucina e preparava la colazione, mio padre sistemava la legna nel camino. Il fuoco era caldo, non solo perché ci fosse la fiamma, ma perché restituiva all'ambiente la certezza dei muri solidi di casa, il conforto  ai dispiaceri e alle nostalgie, il calore espresso in un circolo di benessere primitivo che aveva parole protettive ed antiche. Era domenica, quel giorno di pausa dalla fretta ordinaria, quel giorno che già da piccoli capisci che ha la pretesa di sembrare una festa,  fosse solo perché non ti costringe a mettere il grembiule e lasciare la 'casa'.  Mi ricordo il profumo intenso delle bucce di mandarino che mamma appoggiava sotto la legna, commovente momento di congiunzione fra l'olfatto che abbracciava sensazioni fluide e la testa che inconsciamente già sapeva che quei momenti si sarebbero fissati, sposati, amati con fedeltà assoluta per tutto il tempo che poi sarebbe arrivato. Guardavo, mentre facevo colazione, la fiamma che si alzava superba ed elegante, un movimento simile ad una danza verticale, sinuosa ed avvolgente, quasi ipnotica. Se avessi dovuto esprimere allora cosa potesse rappresentare per me il senso più alto di tranquillità interiore, io avrei detto che era proprio quel momento, che richiudeva e conservava totalmente la quiete dei pensieri  e la trasparenza dei fatti. Non ero ancora grande, ma neanche abbastanza piccola da non capire, ero in quella via di mezzo che voleva una luce di notte come compagnia e vedeva passare di giorno un treno veloce di domande che giravano nel cuore. Ero lì, seduta a quel tavolo messo al lato del camino, era novembre e c'era la nebbia, fra pochi giorni avrei scritto la mia letterina di natale, avevo fra le dita calde la mia tazza con il latte che ancora aveva il sapore di latte, i biscotti fatti in casa con la bustina di ammoniaca e la scorza del limone grattugiata. Dietro di me i gesti casalinghi di mia madre  in vestaglia azzurro chiaro, mio padre sempre in movimento e la percezione faticosa , anzi la certezza, che non avrei potuto fermare il giorno, che non avrei catturato il bene che scappa,  non avrei conservato il languore del caldo che arrossa le facce. Così, immaginavo che se la vita avesse potuto avere un ritorno io lì, in quel momento di intimità e latte, lì, in quello spazio segreto di fiamma e mandarini, in quel silenzio innamorato di ordinarietà quotidiana,  proprio lì, io mi sarei potuta abbandonare.vrei appoggiato la mia corsa, le mie paure, le avvisaglie di una inquietudine che non mi avrebbe più lasciata, di un'ansia che non mi ha mai tradita. I momenti, quei momenti, che irrimediabilmente si attaccano alle pareti del tuo 'io' più lontano, che sono i tuoi capelli e la tua pelle, le poesie al sapore di zucchero, il fuoco che impaurisce e raccoglie confidenze, i piedi scalzi della domenica, il tempo che va avanti anche dopo solo un attimo buono di fortuna, la vena del futuro che sbuca dalla nebbia e si spinge verso il sole aperto.  Io ancora non lo sapevo che dopo c'era la vita feroce e cosa fosse la continuità della guerra nella vita. Non sapevo quante dispersioni di bene e quante fiamme vere avrebbero ustionato i giorni e l'anima, ma credo fosse giusto così. Sentivo però, con determinazione consapevole, che avrei ricordato. E fra un ieri che conosco e ricordo perfettamente ed un domani che ignoro, tutto quello che so è che oggi sto nel mezzo, fra il mio 'io' denso di passato e la mia prossima, sconosciuta destinazione.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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