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I Pensieri dell'Altrove

Se un giorno, io

Perché non poterla avere vinta su un male che non può più guarire, su un buio che non passa, non ci slega, non ci vuole lasciare finché esso stesso non si è saziato e stancato di noi?

Se un giorno, io

Se io un giorno dovessi capire che i miei respiri sono un riflesso meccanico, che le mie dita sono rametti secchi senza forze appoggiati su dieci centimetri di lenzuolo ...

Se io un giorno dovessi trovarmi nella condizione di capire che la mia vita non è più un 'dono', ma una condanna di dolore o una pietosa rappresentazione di quello che sono stata, se dovessi trovarmi in un corpo che non è più il mio corpo ma è uno strumento che mi tiene come ostaggio di malattie irreversibili, di una limitazione dei movimenti e di autonomia, se dovessi soffrire maledettamente nel veder soffrire me stessa o le mie persone più vicine accanto a quella cosa mortificante che resta di me, io vorrei andarmene.
Capisco che in uno stato con una forte influenza del pensiero cattolico il concetto non possa apparire così elastico da poter essere completamente accettato o condiviso, ma mi piacerebbe pensare che possa essere almeno compreso con misericordia e compassione. Quella stessa compassione avvilita che si impossessa di tutte le persone che vivono queste situazioni e che nella maggior parte dei casi, almeno una volta al giorno, sono certa che pensino ad una fine come ad una forma di sollievo da sofferenze che annientano. Se mi vedessi incapace di camminare, di parlare, se fossi sostenuta solo da tubi e se l'unico apporto umano che potessi avvertire anche fisicamente fosse solo il tocco pietoso di una mano, io sentirei solo disperazione e dannazione, non altro. Sentirei la pietà inconsolabile, indifesa nella sua incapacità di nascondersi e oscena nella sua visibilità più spietata. Se io un giorno dovessi capire che i miei respiri sono un riflesso meccanico, che la mia stessa persona mi ha lasciata in un fosso di un letto antidecubito, che le mie dita sono rametti secchi senza forze appoggiati su dieci centimetri di lenzuolo e che il mio stare al mondo è solo un sembrare di stare al mondo senza più farne parte, io lascerei libero il mio corpo e salverei la vita di chi si è trovato nella sfortuna di stare accanto a me. C'è tanta morte in giro truccata da ragioni mistificate: bambini ripetutamente violati, comprati, usati nelle forme più indicibili e insopportabili. Solitudini così estreme accucciate come cani malati negli angoli più umidi e più fetidi della vita, dolori dell'anima così lungamente abitati che diventano la sola casa e la sola cosa di persone che passano sotto i nostri occhi come un vento gelido che resta invisibile. Perché, allora, non poterla avere vinta su un male che non può più guarire, su un buio che non passa, non ci slega, non ci vuole lasciare finché esso stesso non si è saziato e stancato di noi?
C'è una legge su cui si sta lavorando, una legge che spero possa consentire, agli individui che vorranno, una scelta finale, certamente drammatica, che ha in sè tutta la sciagurata pena del cuore e l'immenso dolore personale, ma che accoglie con decoro chi si trova in disgrazie così grandi e così in bilico fra le due condizioni più estreme che appartengono ad un uomo: questa vita, quella morte. E non è giusto essere lasciati da soli, o alla carità di qualcuno a cui procuri comunque degli sbandamenti emotivi elevati. Quindi io mi auguro che la parte laica del nostro civile paese possa avere un giorno la possibilità di dirci che è arrivato il momento in cui può decidere per noi solo la nostra coscienza, il nostro vissuto, la nostra anima, la nostra libertà ultima.
Così che si possa andare via dal letto di casa nostra, con quell'ultima carezza familiare, con quella mano che vuole regalare un ultimo saluto stretto ed eterno, forte come una promessa che ha nell'improbabile il senso mortale dell'assoluto.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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