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I pensieri dell'Altrove

La casa dei mie anni

I muri mi hanno sentita piangere, camminare, fuggire, tornare, ridere, parlare ore al telefono a cui nonno aveva messo il lucchetto. Mi hanno vista uscire vestita da sposa con i fiori fra i capelli, hanno visto mio figlio e ora la figlia di mio figlio.

La casa dei mie anni

La casa aveva un anno di vita, di concezione moderna, su due piani e con giardino. Mio nonno, alla base del cancello, fece incidere la data di costruzione e le sue iniziali. Si usava così, forse. Oppure semplicemente fu il desiderio narcisistico di lasciare ai posteri una traccia di sè molto personale e incancellabile. Un punto d'orgoglio e di arrivo, una casa si spera sia per sempre, un cancello grande con la firma, di più. Come un biglietto da visita, come un profilo Facebook prima del tempo di Facebook. Lì, in quella casa di appena un anno, sul corso più strategico del paese che lega l'Irpinia alla Daunia, sono nata io. La neve di quell'anno fu clamorosa, nevicò per giorni ininterrottamente, si alzavano barriere che coprivano porte, finestre, strade. Mia mamma cominciò ad avere le doglie durante la sera, ma a Foggia era impensabile arrivare, così mio nonno, tenendo come punto di riferimento il prezioso cancello di cui sopra, cominciò a spalare con mio padre per creare un varco che consentisse alla ostetrica Ida di arrivare a casa ed aiutare mia madre. Mamma era bellissima, lineamenti sottili, non modificati dalla gravidanza, pancia piccola. Piccola come me, nata al di sotto dei tre chili e con un po' di debolezza o, forse, già con un po' di malinconia. Fu così che non riuscivo a succhiare latte e fu così che i miei battesimi sono stati due: uno in extremis, dopo solo diciannove giorni, perché stavo praticamente lasciando il mondo senza neanche averlo conosciuto di sguincio e uno festoso perché il mondo finalmente voleva farsi conoscere da me. Porto tre nomi, non so se per una devota intenzione dei miei genitori finalizzata ad ingraziarsi un numero congruo di santi o perché andavano accontentate entrambe le nonne e i loro nomi si prestavano ad una fusione possibile. Sta di fatto che dal primo giorno in cui ho firmato un documento importante ho capito che dai notai, in banca, o per qualunque altro atto ufficiale tutti, al momento conclusivo, si sentono autorizzati a dirmi: " oddio, tre nomi" e poi mi devono lasciare quei tre/quattro minuti di tempo in più e lo spazio necessario per poter inserirli tutti e tre in modo corretto. Spesso sono tornata negli uffici perché uno di questi non era preciso, leggibile, o semplicemente, facendo la furba, lo avevo accorciato. Quando sono nata io mio nonno era talmente felice di avere finalmente una discendenza che appena il giorno dopo, a scuola, fece svolgere un tema ai suoi alunni sul fatto che era nata la sua prima nipote. Di questo, ancora oggi chiedo scusa a tutti i suoi alunni (che me lo ricordano) per questa forma di autocelebrazione di cui, però, io non ero consapevolmente responsabile. La mia casa è sempre lì, sul corso più importante del paese. Il cancello di nonno ha visto uscire tante macchine, bare, cani, bambini, spose. Io ci vado ogni giorno della mia vita, mio padre ora sembra suo padre, il giardino non dà più le fragole al sapore di fragole, gli alberi mi sembrano invecchiati come noi, gli uccellini che prima venivano sui balconi a beccare hanno capito da tempo che non c'è più mamma che metteva le molliche in inverno. La struttura degli interni è cambiata dopo il tremendo terremoto del 1980, sono cambiati i corridoi, i bagni, le scale sono le stesse, come i balconi sul corso e sul giardino. Questa è la casa che ricordo dal primo momento di me, i muri mi hanno sentita piangere, camminare, fuggire, tornare, ridere, parlare ore al telefono a cui nonno aveva messo il lucchetto. Mi hanno vista uscire vestita da sposa con i fiori fra i capelli, hanno visto mio figlio e ora la figlia di mio figlio. È la casa dove ho festeggiato tanti miei compleanni, le ultime candeline che ho spento li erano poco più di venti ed ero contenta di spegnerle perché erano ancora poche e piene di futuro. Io sono nata alle cinque di pomeriggio di un cinque di febbraio, ricordo che era una domenica. Era oggi.

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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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