Cerca

I pensieri dell'Altrove

È Luglio: nel mio paese fa freddo, nel mondo si gela

É un momento pieno di perchè che manco si degnano di darti uno sguardo, figurati una risposta, è una storia che volevamo libera, ampia e moderna e invece ci si è stretta attorno, come un cappio al collo che stringe e non dà aria, né coraggio.

Dal freddo di un 16 luglio al gelo del mondo

Al mio paese c'è nebbia, pioggia e ci sono tredici gradi e mezzo alle undici del sedici di luglio. Dice: ma mica è normale? No, ma è un adeguamento. Ci sta, questa anomalia meteorologica, rende più sconfortante e congruo questo disorientamento generale, questo caos emotivo insopportabile di questi giorni, il frastuono ingestibile di una mole di dolore diverso per latitudini e ragioni ma uguale nello stordimento. In questa traccia smarrita di coordinate e di punti cardinali certi, ci sta, che sia tutto indefinito, fuori posto e sconosciuto, che i piedi nei sandali di luglio abbiano freddo e le mani siano raggrinzite nelle tasche. É un momento pieno di perchè che manco si degnano di darti uno sguardo, figurati una risposta, è una storia che volevamo libera, ampia e moderna e invece ci si è stretta attorno, come un cappio al collo che stringe e non dà aria, né coraggio. Ma sì, che ci si perda completamente nelle parole che non consolano, nei pensieri che non si fermano, nelle domande che non ci salvano. Andiamo ad affogare nel dolore che inghiotte, nelle ferite della carne, nella nebbia degli ingorghi della paura. Che arrivi il nemico, sotto qualsiasi forma, sia esso un camion, una guerra, un binario, un carrarmato, una bomba, una rivolta. Arrivi e si insedi nella vita che rimane senza avere pietà, nè ragione, non ci dia tempo per salvarci, e ancora meno ci dia tempo per difenderci. Ci tolga la fiducia, smagli l'armatura che ogni giorno maniacalmente ci aggiustiamo addosso, ci strappi con violenza, giacchè diversamente ci scandalizzeremmo, quelle residue speranze tiepide che arrivano sulla riva come onde timide, ma che subito si ritirano perché si spaventano all'idea di fermarsi sulla terra ferma. Questo nemico che sa arrivare invisibile, sembra farci dimenticare per un po' il suo potenziale terrifico e poi, quando ritorna, ci uccide. Ecco, che allora ci guardi bene in faccia, questo Male vago e multiforme, perché uno lo sa bene che deve morire, ma almeno ci dia la soddisfazione e quell'orgoglio minimo di capire come. Non che così si muoia meglio, ma forse si potrebbe stare meglio da morti.
Io davvero non so se ancora siano provviste di una spina dorsale robusta tutte le varie richieste di pace o di comprensione per le cose che accadano, perché pare che tutto il nostro parlare non abbia più casa né destinazione precisa; così le analisi e le strategie. Sta diventando tutto un terribile, collettivo dolore, dove però, nel ventre più caldo, là dove umanamente si ripara la paura, si avverte un bisogno immenso di misericordia, di condivisione, di tregua.
Non vi è alcuna certezza di noi, se non il nostro essere. Che a volte è follia, a volte è un incidente, a volte un abbraccio caldo di sangue che guarisce un bisogno di bene. Spesso però è solo un capolavoro formidabile del mistero. Altro che la morte..

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione