IL MATTINO
I pensieri dell'Altrove
05.06.2016 - 10:20
Pensavo ci fossero stati d'animo che si rimbambissero, pure loro, col passare degli anni, che diventassero più miti, come gli uragani fuori dal nucleo del vortice, che perdessero per strada quella corda tesa che tiene in fila le intemperanze giovanili. Pensavo che per tutti arrivasse un tempo in cui ci saremmo detti di aver fatto un buon lavoro su noi stessi, certi che ci fossimo applicati con metodo e disciplina, avevo pensato che con certe turbolenze ci si potesse scansare reciprocamente senza troppo dispiacere; non avevo certezze, ma solo la sottile convinzione che i livelli di stanchezza fisiologica non avrebbero concesso nessuna ulteriore, larga apertura. Pensavo che la consueta andatura delle giornate fatta di preoccupazioni, di impegni, di conseguenze e di disordini non desse ulteriori energie alle sue vene irate ed irritate. Perché io lo so che quando arriva altera il verso delle ore, mette in crisi le pause delle pulsazioni, fa cambiare il valore della pressione e, cosa veramente fastidiosa, fa sentire le persone accerchiate da richiami di aggressività primordiali, che per esempio io cerco di non accogliere, ma solo perché il mio imprinting formativo contro la violenza è sempre fortemente presente e recuperato. Raccontare la prepotenza con cui, in certi giorni, si avventa contro di noi e dentro di noi la belva della rabbia è un racconto facile, perchè è un parlare diritto con l'impeto, l'istinto, con quella zona veloce che tutti conosciamo e che non sempre abbiamo cura di controllare. Non abbiamo molto pudore, quando ci capita di passare attraverso questa tracimazione della ragione, quando tutti i gesti e le parole sembrano dotarsi di quella solida giustificazione, anche assai banale, che addebita tutta la colpa alla dose più o meno elevata dell' "incazzatura". La quantità della precauzione che pure ci imponiamo per un senso di responsabilità e di educazione si dissolve impunemente. Per la rabbia non c'è rifugio, c'è palcoscenico. Per la rabbia non c'è la testa, c'è la pancia aperta e lo stomaco che si getta fuori. C'è il sangue che è un fascio di nervi, ci sono le parole che ustionano come lapilli. E te la prendi col mondo, spostando di volta in volta i bersagli, i motivi, le invettive. Se siamo selvaticamente arrabbiati i contrasti più irritanti sono la materia prima di cui abbiamo bisogno per ammortizzarla, più è piena di energia la rabbia più sarà necessario, dopo, un discreto numero di concessioni alle scuse e alle spiegazioni. Ci sono, questi giorni così, che pure col cielo apparentemente azzurro ti senti spazzare via dai fulmini dello scontento, delle delusioni, delle frustrazioni tenute a freno, ma che poi ti rivoltano addosso tutta la loro sanguinosa rivoluzione, senza troppi segni premonitori nè tempi per difese strategiche. In una rabbia personale ho capito che c'è posto per la rabbia universale, si risveglia il dolore dell'odio, del rancore, l'infelicità per tutto quello che non sei riuscito a capire e l'impotenza per tutto quello che non puoi riuscire a cambiare. Non so se sia esattamente un sentimento, certo è un'emozione, quindi è un complemento d'arredo che ci appartiene, che ci strattona, che ci rende spaventati e forse spaventosi. Poi, come dopo una battaglia, ci lascia stanchi, magari non convinti nè pacificati, sicuramente deboli e, come dopo un'emorragia violenta, restano anemie da stabilizzare e monitorare. La furia dell'anima è impietosa, spregiudicata, ma solleva polveri che altrimenti sedimenterebbero troppo a lungo su fondi di cristalli frangibili, apparentemente integri e brillanti, ma che ogni giorno sono costretti a sopportare lo stridore sinistro di inattese e ingiuste scheggiature. Ogni tanto, 'sti fondi di cristallo frangibile, chiedono di essere spolverati, prima che si frantumino.
edizione digitale
Il Mattino di foggia