Cerca

I pensier dell'Altrove

L'orrore di trattarci come un pezzo di carne

Li avessi di fronte a me, questi dottori della scienza che hanno dentro al petto il freddo del vuoto umano, li sputerei in faccia uno ad uno per dieci, venti, cento volte.

L'orrore di trattarci come un pezzo di carne

L'ospedale di Reggio Calabria, teatro degli orrori. Nel riquadro una dei ginecologi sospesi

"Le si è spaccata la vagina". "Aveva l'utero rotto in mano". "Quella aveva ancora le pezze dentro". E poi si ride, al telefono si ride di questi irrilevanti inconvenienti, come fossero battute comiche in un film demenziale o degli esperimenti con risultati strabilianti da laboratorio-macelleria. Così, in questi termini e con questo spirito criminale, parlavano di 'noi' (il riferimento è a quanto accaduto all'ospedale di Reggio Calabria, ndr. Clicca qui per approfondire). Parlavano di donne, stese su un tavolo operatorio e rese inoffensive da un'anestesia, capaci solo, in quei momenti, di mostrare il pallore della paura, le occhiaie per le notti senza sonno e il tremore che ti prende quando ti senti inerme ed impotente. Parlavano di organi, come in una vivisezione che non prevede, per protocollo, nessuna umanità e nessuna pietas, nessuna emozione e neppure una dose omeopatica di sensibilità. E noi che stiamo lì, a gambe aperte, senza la possibilità di urlare, piangere o bestemmiare. Un corpo, una sezione, un pezzo di carne. E questi sono medici, ginecologi, anestesisti a cui affidiamo non solo un sintomo o una patologia, ma la vita intera, la sacralità della nudità innocente, il pudore dell'intimità e tutto l'imbarazzo esistenziale che si prova in una situazione di svantaggio psicologico ed emotivo. Ora per favore non cadiamo nell'equivoco banale che tutti i medici non sono così, che ci sono quelli che conservano la dignità della persona e della professione, che sono rispettosi del camice che indossano, che non si sono ancora rotti le palle dalla routine e dalla consuetudine... perché è così, naturalmente. E infatti io parlo di 'quei' medici di quell'ospedale, di quelle figure stomachevoli che del loro lavoro ne hanno fatto una busta paga e una fuga disonorevole dalle responsabilità più essenziali, che delle donne ne hanno fatto reperti da rifiuti organici speciali, e dei danni procurati a posteriori ne hanno fatto carte falsificate che con una superficialità indecente e reiterata hanno nascosto nei cassetti ospedalieri, uguali a tanti scheletri negli armadi che devono sedimentare lì la loro colpa e la loro decomposizione. Tanto oltraggio e assenza di coscienza da far dire agli inquirenti: "atteggiamenti incredibili e inaccettabili per potersi parare il culo". Li avessi di fronte a me, questi dottori della scienza che hanno dentro al petto il freddo del vuoto umano, li sputerei in faccia uno ad uno per dieci, venti, cento volte. E in quegli sputi ci sarebbero tutti interi la rabbia, il ribrezzo, il dispiacere e il disprezzo del mondo. Una donna, come le loro madri.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Il Castello Edizioni e Il Mattino di Foggia

Caratteri rimanenti: 400

Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

edizione digitale

Sfoglia il giornale

Acquista l'edizione