C'era una volta, tanto tempo fa, una fatina dai capelli rosa e con un viso bellissimo. Si chiamava fatina Domandina. Ogni sera usciva fuori dalle stanze del suo regno fatato, si faceva accompagnare da un soffio di aria per un volteggio leggero e poi si sdraiava sull'erba, chiudeva gli occhi, ripensava alle magie spettacolari compiute durante il giorno, ripassava nella testa, una per una, le situazioni che la sua bacchetta magica aveva risolto e trasformava con la forza del suo soave pensiero ogni domanda ricevuta dagli uomini in lucenti e stupefacenti stelle. Ogni sera il cielo si illuminava di nuove stelle domande, ogni sera di più, ogni sera sempre più vicine una alle altre, ogni sera il cielo accoglieva milioni di perché, li trasformava in punti di luce per rendere il buio meno oscuro e l'immenso meno solo. Fatina Domandina sapeva della vastità dell'universo, della indulgente comprensione dello spazio, della necessità buona del cielo di accendere le sue luci e di rispondere agli uomini, la leggerezza degli umani restituiva passaggi di energie brillanti, in uno scambio di soccorso perfetto e astratto insieme. Gli esseri umani erano complicati, la bacchetta magica di Domandina a volte faticava a mandare in alto i punti interrogativi poichè erano faticosamente pesanti; una razza, quella degli uomini, che sembrava disperata e fragile, piena di paure ma anche di straordinaria saccenza, piena di passioni e di ambizioni ma sorda dinanzi ad una richiesta di preghiera, piena di successi e di apparati tecnologici, ma priva di tenerezza e misericordia. Chiedevano con forza come organizzare la loro vita e quella degli altri, come sottrarsi e rendere innocue le fitte velenose dell'amore, che risposte efficaci e sbrigative ci fossero per le malattie, che pozioni magiche far bere a quelli che non avessero avuto le proprie convinzioni, come sconfinare nel divino e lì, possibilmente, come restarci per sempre. Non gradivano obiezioni di natura etica, niente poteva essere rifiutato, tutti gli atti compiuti avevano una componente di compromesso negoziabile ed elementi di potenziale aggressività al posto del ragionamento convincente. Non avevano mai tempo, per una carezza da fare o per una offesa da guarire, per una poesia da dedicare o per una malattia da superare. Forse per questo che tutti avevano addosso l'odore di una perenne convalescenza, una convalescenza corale, afflittiva, con una guarigione sempre parziale ed approssimativa. Fu in una sera calda e dai contorni precisi che fatina Domandina decise di non far arrivare altre domande al cielo, di non continuare a trasformare i punti interrogativi in stelle. Quella sera i punti luminosi erano miliardi di miliardi, compatti e densi, sembravano troppi, sembravano voler cadere come i desideri rotti, non volevano più essere risposte, ma solo stelle, semplici, meravigliose stelle. Così, Domandina con una magia fece sparire la sua bacchetta, e si sentì finalmente libera e liberata. Perchè gli uomini avrebbero continuato a chiedere, a pretendere e a pregare, a soffrire e a schiattare, ma il cielo non cambia le vite, nè le storie nè i dolori, e le stelle non danno risposte, almeno non quelle che gli uomini vorrebbero, e seppure fossero così generose da darcele noi non le ascolteremmo. Perchè noi uomini siamo così, esseri imperfetti nella nostra eterna, ma perfetta vocazione a sbagliare. E le nostre domande devono stare dove è giusto che stiano, cioè con noi.
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Mariantonietta Ippolito
Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.