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I Pensieri dell'Altrove

Ma si, la prossima volta voglio nascere capra

Ma si, la prossima volta voglio nascere capra
Nella prossima vita voglio nascere capra. Ma non parlo solo del mammifero ruminante, no, parlo di "capra capra capra", cioè quella offensiva aggettivazione che lanciò un critico d'arte per identificare l'ignoranza più estrema. Capra, quindi, intesa come una fuoriclasse del non sapere, ma soprattutto del non voler imparare, del non voler capire e del non volersi applicare in niente. Pascolare, perciò, da capra molto ignorante senza traffico umano intorno, senza orologio, senza appuntamenti, senza storie parcheggiate male o incidentate lungo il corso principale, ma poco illuminato della vita. Capra infinitamente lontana dai doveri, dai galatei, dalle preoccupazioni, dal dover contrattare, litigare, accogliere, sopportare, ma accorta solo a trovare fili d'erba fresca, a calpestare zolle di terra madre, a trovare un rigagnolo d'acqua per garantirsi la dignitosa e libera sopravvivenza. Avere una sola richiesta del sacro e rivolta esclusivamente agli alberi che danno ombra, al cielo che regala pioggia, al sole che celebra e regola i giorni e alla luna che si siede sulle notti. Non occuparsi di telefoni cellulari senza copertura, di computers con applicazioni che ti fanno vacillare, di telecomandi che ti gestiscono la casa e che te li ritrovi sulla tavola mentre mangi, fra le lenzuola mentre dormi; di impianti di antifurto o di timers di termosifoni che il libretto di istruzioni è un esame di ingegneria elettronica. Ignorare le croste che nascondono le infezioni da combattimenti, le esistenze complicate che portano alla dispersione di sé; di tentativi, o tentazioni, di assumere personalità multiple pur di difendersi alla meno peggio dalle situazioni pesanti di tutti i giorni. Non avere niente a che fare con la comprensione scientifica e chimica dell'amore o le procedure che si accompagnano ai bisogni ed alle urgenze dell'amore;  non conoscere le perturbazioni dell'insonnia, dei brutti sogni che ti sforzi di decodificare per poterli scaricare dalla testa; non doversi  applicare con metodo ed obiettività per rispondere alla domanda del perché gli uomini si fanno e fanno le guerre, perdendo sangue, perdendo anime, perdendo vite. Perché hanno bisogno di sconfitte, di trofei, di vittime, e soprattutto di eroi. Perché, pur avendo la magia della parola non si parlano, non si ascoltano, ma si sputano. E perché hanno gli occhi che invece di vedere e trovare il mare, la neve, la pelle, il bello, sono quasi sempre assegnati alla paura e al pianto. Voglio rinascere capra, capra e poi capra, e ferirmi per un ramo appuntito, per un rovo incontrato nella corsa, e non sapere che ci sono cerotti, e punti o suture dolorose per riparare i danni. Voglio non applicare l'intelligenza (?) umana e non contaminarmi di batteri di falsa cultura, di strategie, di "politiche sociali", di fallimenti. Voglio poter essere primitiva, essenziale, selvatica, solo istinti vitali e senza la ossessiva pazienza che ci viene instillata per "accettare" ed aspettare la morte. Una capra tre volte, o anche un multiplo di tre, e sarà solo lo sguardo e la generosità della natura a curare e nutrire la mia grande bellezza: una salvifica, invidiabile e spregiudicata ignoranza.
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Mariantonietta Ippolito

Mariantonietta Ippolito

Il pensiero è la forma più inviolabile e libera che un individuo possa avere. Il pensiero è espressione di verità, di crudezza, di amore. Quando il pensiero diventa parola il rischio della contaminazione della sua autenticità è alto. La scrittura, invece, lo assottiglia, ma non lo violenta. Io amo la scrittura, quella asciutta, un po’ spigolosa, quella che va per sottrazioni e non per addizioni. Quella che mi rappresenta e mi assomiglia, quella che proverò a proporre qui. Dal mondo di “Kabul” al vasto mondo dei pensieri dell’”altrove”.

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